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3 febbraio

Giornata per la vita: nella giusta logica

La cultura della morte è in affanno. Occorre che chi governa faccia la sua parte

di Marco DOLDI

29 Gennaio 2013

Sono ormai tanti anni che la Chiesa italiana dedica una giornata al tema della vita umana fragile e indifesa. Lo fa senza facili moralismi e con ragion veduta: invita a promuovere e difendere la vita umana, tenendo conto via via delle reali difficoltà, ma anche indicando le possibili soluzioni.

In questo senso la Chiesa non si è mai rassegnata all’idea che l’aborto sia una soluzione comprensibile e accettabile, una possibilità senza conseguenze negative per la vita sociale. Già su questo piano c’è da registrare una continua novità e originalità di pensiero, rispetto a coloro che da decenni propongono le stesse tesi a favore della soppressione della vita nel grembo della madre. Sotto questo aspetto la cultura di morte – come la definiva il beato Giovanni Paolo II – è chiusa e avviluppata in sé stessa, mentre la riflessione a favore della vita offre insieme ragioni di sempre e speranze possibili.

Il motivo di questo successo sta nel fatto che la cultura della vita dà voce a quanto di più naturale è inscritto nel cuore di ciascuno: ad esempio, il valore e il rispetto per ogni vita umana, il desiderio di generare. Lo ricorda bene il Messaggio dei vescovi italiani per la Giornata nazionale per la Vita (3 febbraio 2013). Essi scrivono: «La disponibilità a generare, ancora ben presente nella nostra cultura e nei giovani, è tutt’uno con la possibilità di crescita e di sviluppo; non si esce da questa fase critica generando meno figli o peggio ancora soffocando la vita con l’aborto, bensì facendo forza sulla verità della persona umana, sulla logica della gratuità e sul dono grande e unico del trasmettere la vita, proprio in una situazione di crisi». C’è una disponibilità a generare che nasce direttamente dal cuore dei giovani, perché inscritto nella verità della persona. Chiudersi alla vita in tutte le forme possibili è contro la natura umana ed è una forma di egoismo.

Giova ricordare che da tempo la teologia cristiana invita a superare il concetto filosofico di individuo con quello trinitario di persona. L’uomo non è un essere, seppure razionale, ma chiuso in se stesso, bensì esiste in quanto è in relazione costitutiva con Dio e con gli altri. Poco importa se questa relazione non sempre è evidente, a motivo della fase precoce in cui si trova o della malattia che ne limita l’esercizio. Nelle condizioni ordinarie ciascuno realizza se stesso nell’apertura all’altro, secondo un dinamismo di dare e ricevere; in questo senso nessuno è tanto povero da non poter dare nulla e nessuno è tanto ricco da non dover ricevere nulla! Ora, «la logica del dono – scrivono i vescovi italiani – è la strada sulla quale si innesta il desiderio di generare la vita, l’anelito a fare famiglia in una prospettiva feconda, capace di andare all’origine – in contrasto con tendenze fuorvianti e demagogiche – della verità dell’esistere, dell’amare e del generare».

La logica del dono riflette la verità sull’uomo, “il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso”(Gaudium et spes, 44) e non può “ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé”. Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza ponendo in lui la verità della relazione che si completa nel dono, cosicché non è trattenendosi che l’uomo si realizza, ma donandosi con fiducia. Questo significato perenne, riconosciuto dalla ragione e rafforzato dalla fede cristiana, non potrà mai essere disconosciuto o messo da parte, pena la distruzione della stessa verità sulla persona umana. Le parole della Chiesa trovano, pertanto, una naturale accoglienza nella profondità del cuore della persona.

E proprio la verità sulla persona, che coincide con la logica del dono, è l’ambito dove porre i fondamenti per un rinnovato impegno a favore della vita. Questi anni sono caratterizzati da una forte crisi economica, che genera la grave difficoltà nel fare famiglia. «Sono diffuse – si legge nel Messaggio – condizioni di precarietà che influenzano la visione della vita e i rapporti interpersonali suscitano inquietudine e portano a rimandare le scelte definitive e, quindi, la trasmissione della vita all’interno della coppia coniugale e della famiglia».

Come uscirne? Intanto, occorre che chi governa faccia la sua parte: «Non è né giusto, né sufficiente – notano i vescovi – richiedere ulteriori sacrifici alle famiglie che, al contrario, necessitano di politiche di sostegno, anche nella direzione di un deciso alleggerimento fiscale». Poi, anche i mezzi di comunicazione devono sentire la responsabilità di diffondere modelli di consumo responsabili e non far apparire il miraggio di un benessere irraggiungibile per i più e, quindi, ingiusto. Soprattutto, occorre accrescere le relazioni, fare rete sino al punto che – ha detto il Papa a Family 2012 a Milano – una famiglia si prenda cura di un’altra famiglia. Utopia? No, se si pensa che questo corrisponde alla logica della persona, una logica capace di suggerisce sempre forme nuove di cura e di sostegno.