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Ricordo

Carlo Ferrari da Passano,
l’uomo che tenne in piedi il Duomo

Quattro anni fa la morte del Protoarchitetto della Veneranda Fabbrica. La sua figura e la sua opera nelle parole del suo successore

di Ernesto BRIVIO

5 Febbraio 2015
i dirigenti della veneranda fabbrica del duomo:
da sinistra: 
dott. marco orombelli, presidente; ing. murling, arch. carlo ferrari da passano e 
arch. ernesto brivio.

Il ricordo così vivo di Ferrari da Passano – scomparso il 3 marzo 2011 – che così agilmente si muoveva sui ponteggi o difendeva le proprie iniziative di restauro è sempre fonte per me di turbamento e di profondo dolore. La sua figura e la sua opera resteranno nella storia della Fabbrica del Duomo come quelle di un gigante, uno dei non pochi cui il Duomo deve la sua mirabile presenza nel mondo delle cattedrali gotiche.
Il 2 luglio 1962 Ferrari iniziò la sua attività presso la Fabbrica: lo ricordo bene per l’imprevisto incontro in quel primo pomeriggio con il card. Giovanni Battista Montini, in visita agli scavi del battistero santambrosiano di san Giovanni alle Fonti. Da pochi anni assunto alla Fabbrica del Duomo, ma isolato dagli uffici e ancor più dai lavori in Duomo, ero tenuto a frequentare, come progettista di nuovi edifici della Fabbrica, solo il cosiddetto “Studio d’arte.” In Duomo:andavo di nascosto, ben accolto dagli operai che mi mettevano volentieri al corrente dei problemi e dei lavori di restauro. Fu Il consigliere prof. arch. Antonio Cassi Ramelli, mio docente al Politecnico – al corrente delle mie scappatelle sui lavori – a delegarmi a far da guida al nuovo Ingegnere.
Per più di un mese e per intere giornate accompagnai Ferrari sul Duomo, nel Duomo e sotto il Duomo, anche in quelle molte parti che non avevo mai visto, ma con l’aiuto di qualche anziano ed esperto operario che , lui sì, faceva da guida. Era piacevole ma impegnativo passeggiare assieme ad ul nuovo amico, perché Ferrari volle fin dal primo incontro che ci dessimo del tu; questa confidenza aiutò moltissimo il nostro rapporto, che presto divenne un solido fraterno sodalizio durato sette lustri. L’Ingegnere fu un attentissimo ed esigente osservatore. Tutto vedeva e tutto fotografava con la sua mitica Leica: quante domande poneva, alcune così tecniche alle quali non trovai risposta. Nelle soste in ufficio, Ferrari metteva gradualmente a punto un programma di massima degli interventi da effettuare che veniva di giorno in giorno modificato secondo le conoscenze via via acquisite.
Così, i problemi statici della guglia maggiore e dei gugliotti, del tiburio, della cupola e della facciata della cattedrale assorbirono l’intero uomo-Ferrari, mente e cuore, fantasia e coraggio. Uguale impegno profuse per le Cave di Candoglia, per aumentare e migliorare la produzione del prezioso marmo, in previsione delle e esigenze della estesa campagna di restauri che avrebbe avviato. Pari attenzione pose sull’efficienza dei cantieri e alle loro attrezzature, ancora legate a standard artigianali. Veramente un carico di inusuali compiti per chi aveva passato la vita sui MAS, sulla tolda di navi da guerra e per la costruzione di grandi opere, come la prima linea della metropolitana milanese.
Ferrari da Passano, con il suo temperamento di “uomo d’assalto”, vi si gettò a capofitto con l’entusiasmo di chi pregusta il fascino della novità, il misurarsi con una realtà così diversa dai cimenti del passato, l’occuparsi di un monumento di valore mondiale, del quale erano stati sanati i puri danni di guerra (soprattutto statue e manufatti marmorei), nulla era fatto sull’impianto statico della cattedrale, che , oltre ai secoli, anche le percosse della guerra avevano aiutato ad indebolirsi. Di mente aperta e coraggiosa, dotato di una creatività stupefacente e di un convincimento interiore talmente radicato da riuscire, pur con scarna ma efficace dialettica, ad ottenere anche nei casi più complessi, quasi temerari, l’assenso del Consiglio, al quale partecipavano illustri cattedratici di “Scienza delle costruzioni”.
Dalla sua presenza assidua nei tre cantieri (Duomo, Marmisti, Cave di Candoglia), le maestranze d’ogni livello e responsabilità, traevano entusiasmo e l’orgoglio di operare per la Veneranda Fabbrica e per il Duomo; ogni suo incontro con gli operai al lavoro, a volte oscuro e duro, era atteso e desiderato. Il protoarchitetto Ferrari era assai esigente con i suoi collaboratori, sia di cantiere che di ufficio; ma era più incline agli apprezzamenti che ai rimproveri. comunque sempre rispettosi della persona; il personale gli voleva bene, anche i sindacalisti, perché avevano capito e apprezzato in lui la rettitudine nelle valutazioni.
Per giudicare il valore dell’uomo e del tecnico, è sufficiente ricordare l’epico restauro statico dei piloni del tiburio. Il gigantesco laboratorio si articolava in quattro autonomi cantieri, uno per pilone, tra loro collegati, ma ciascuno dotato di una rete di strumentazioni sofisticate che rilevavano in tempo reale – trasmettendolo ad una complessa centralina – ogni infinitesimale cedimento o imperfezione nella sostituzione sia del nucleo originario del pilone, gettato a sacco, sia nella corona circolare esterna in marmo di Candoglia. Per Ferrari furono tre abbondanti anni di preoccupazioni, che non lo abbandonavano neanche di notte, perché davanti al letto un monitor gli trasmetteva i dati provenienti dalla centralina di controllo.
Carlo Ferrari da Passano, l’uomo, il tecnico, il credente che tenne in piedi il Duomo, trascinando nel suo entusiasmo tutta la Veneranda Fabbrica, cordialmente partecipe alla vita della cattedrale ambrosiana e onorata di sentirsi erede delle migliaia di operatori nostrani ed europei, che in sei secoli avevano dato il meglio di sé per il gran tempio dedicato alla Madonnina.