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Esperienza

Alla festa degli anziani
gli chef erano i detenuti

Sono usciti in sette dal carcere di Bollate per cucinare nella parrocchia S. Arialdo di Baranzate: «Per noi queste iniziative sono una forma di riscatto e ci permettono di sanare le fratture con la società»

di Luisa BOVE

22 Ottobre 2012

Ogni anno la parrocchia Sant’Arialdo di Baranzate organizza una giornata dal titolo “La comunità fa festa con l’anziano”, ma da tempo mancano i volontari per preparare il pranzo per tutti. Quando Santo, un detenuto di Bollate che quando è fuori frequenta la parrocchia, ha saputo che don Paolo Steffano l’ultima volta aveva dovuto pagare i cuochi, non ha esitato a dire: «Veniamo noi a darvi una mano». E così è stato. Si è rivolto ad alcuni compagni, che come lui escono al mattino a lavorare e rientrano la sera (in regime di articolo 21), e ha proposto loro di preparare il pranzo per gli anziani della parrocchia. «Erano entusiasti dell’evento», assicura Santo. «Allora abbiamo chiesto alla direzione del carcere di autorizzarci a organizzare l’evento e ha accolto subito la nostra domanda». La squadra di chef composta da Santo, Francesco, Fabio, Damiano, Alessandro, Dino e Doriano era pronta. «All’inizio eravamo preoccupati perché, pur cucinando tra di noi, nessuno aveva mai fatto da mangiare per 100 o 200 persone. Ma nel giro di qualche giorno abbiamo chiesto consigli a qualcuno fuori che lavora nei ristoranti e poi uno di noi ha coinvolto anche la moglie che fa la volontaria in parrocchia. Quindi ci siamo rimboccati le maniche e ci siamo arrangiati».

«Quando si lavora insieme per qualcosa di utile – continua Santo – non ci si sente estranei e per noi questo è stato bellissimo. Quando siamo arrivati in parrocchia ci siamo dati subito da fare, ma per iniziare a preparare siamo usciti il sabato pomeriggio, sacrificando un giorno lavorativo e qualcuno rinunciando addirittura ad andare a casa dalla famiglia. La domenica mattina siamo usciti alle 8 e siamo rimasti in parrocchia tutto il giorno fino alla sera a preparare, servire ai tavoli e pulire tutto».

Al pranzo hanno partecipato in 120 persone, tra anziani, famiglie e ragazzi. Il menù era ineccepibile, a parte le torte portate dai parrocchiani, i cuochi hanno preparato antipasto, lasagne al forno, arrosto ripieno, patate arrosto, insalta e frutta. Anche gli adolescenti hanno servito ai tavoli: «È molto bello vederli impegnati nei confronti delle persone anziane». Santo li ha visti crescere, per lui la comunità parrocchiale di Sant’Arialdo «è come una seconda famiglia».

«I ragazzi erano a loro agio e la gente ci ha accolto bene, allontanando stereotipi e pregiudizi verso i detenuti. Questo mi conferma ancora una volta che la non conoscenza allontana sempre di più il carcere, al contrario quando ci sono opportunità come queste le persone colgono la nostra sincerità e la voglia di costruire qualcosa insieme. Queste iniziative sono importanti perché avvicinano le persone al carcere e il carcere si apre all’esterno, al territorio. Per noi è una grande forma di riscatto che permette attraverso questi gesti di sanare le fratture con la società e accorciare le distanze, perché da soli non riusciamo a raggiungere questi obiettivi. È un evento che ha significato molto anche dal punto di vista umano e quando compiamo questi gesti pensiamo alle persone alle quali abbiamo recato un danno».

«Per la festa – dice Santo – abbiamo lavorato tanto, sui nostri volti però non c’era la fatica, ma l’amore e la riconoscenza per l’opportunità che ci è stata data. È quello che ho visto anche negli occhi dei miei compagni. Dentro di noi abbiamo tanto da donare all’altro ed esperienze come queste non dovrebbero mancare a nessuno, sono opportunità per dire: “Io ci sono”. In un momento difficile come quello che sta attraversando oggi il nostro paese per la crisi, noi abbiamo fatto risparmiare 300 o 400 euro alla parrocchia che può usare quei soldi per qualcosa di utile per i ragazzi o per chi ha bisogno».

La disponibilità a ripetere l’esperienza, magari anche in altre parrocchie, non manca. «Non vediamo l’ora di partecipare ad altre iniziative simili e a spenderci per gli altri», assicura Santo. «Da anni vengo a Sant’Arialdo e sono riuscito a portare qui anche altri ragazzi che hanno dimostrato di essere uguali a me. Fino a quando una persona viene chiusa in cella e “si butta via la chiave”, come si dice oggi, non serve a nessuno, perché è un danno non solo alle persone, ma alla società intera».