Al'inizio del nuovo anno pastorale alcune indicazioni circa il compito e le prospettive della Pastorale Universitaria.

don Marco Cianci
Responsabile sezione Università

Giovani anno accademico 2018-2019

Homo viator
Nella Vita nova di Dante troviamo una dettagliata definizione di pellegrino: «Peregrini si possono intendere in due modi, in uno largo e in uno stretto: in largo, in quanto è pellegrino chiunque è fuori de la sua patria; in modo stretto non s’intende peregrino se non chi va verso la tomba di  santo…» (Vita Nova, XL, 7).

Dunque, in senso stretto, il pellegrino è l’uomo curioso e attento a tutto quello che incontra: ascolta volentieri una buona musica, si interessa delle cose che gli fanno «vibrare il cuore e l’intelligenza», si domanda quale sia il senso della vita, il senso del mondo che lo circonda, della morte che lo attende. Il suo ricercare, libero e senza vincoli, lo porta a vivere tutto come occasione e come possesso. La dimora definitiva del pellegrino è la consapevolezza che non esiste un luogo di passaggio, ma qualunque luogo è occasione per essere già nella meta: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). Con questo spirito il vissuto non può che divenire promessa di felicità. Ha bene in mente la parola chiara del Signore Gesù: «Chi mi vuol seguire prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24); non è colui che va a zonzo, ma che, pieno di domande, segue il tracciato del Maestro.

Pellegrini in tutte le direzioni
La sfida che noi pellegrini nel mondo siamo chiamati a vivere in quest’epoca favorisce l’annuncio della fede in un mondo sempre più scristianizzato.

Lo stile del vivere, l’interesse per le cose tutte, la profondità del conoscere e la passione per sondare più a fondo sono caratteristiche non secondarie che permettono un annuncio fresco e contagioso, pertinente alla vita e alla realtà tutta. La fede, come l’amore, ha il potere di mettere in moto tutto. Per un uomo di fede, il particolare non è fine a se stesso, come una monade, anzi non lascia tregua fino a quando non ha incontrato il tutto.

Spesso si tende a fare le cose come le fa il mondo e secondo la sua logica, col rischio di porre sopra le cose che si fanno l’ombrello «religioso», valutandole con parole condite di spiritualità; si crede che l’ombrello possa ripararci dal sole o dalle intemperie piovose, in realtà le intemperie climatiche si aggravano e l’ombrello si spacca. Questo avviene perché il credere è considerato un  mezzo e non la vita!

Fede ridotta e inutile
La conseguenza è quella di rendere ridicola la fede, invece di manifestarne il suo ruolo centrale nella vita cosciente. Essa viene spesso ridotta ad un insieme di gesti e di umori individuali, di stati psichici oppure a un insieme di valori conclamati, cioè all’esercizio di un influsso culturale.

La tendenza nella quale ci si trova a lavorare nelle università è quella di chi ha di fronte giovani e adulti abituati a pensare alla religione come ad un fattore sociale, coesivo, utile per promuovere valori. Veicolati ovviamente dalla cultura dominante.

Allo stesso modo, talvolta la fede viene identificata (spesso dai più) «con una sorta di igiene interiore, che va di pari passo con la psicologia, con la psicoterapia, con la dieta, col benessere generale, facendo così coincidere la religione con un trattamento degli stati d’animo dell’individuo, oppure con uno spazio per dare libero sfogo ala soddisfazione di sentimenti estetici, cerimoniali, rituali…» (V. SOLOV’EV, Lezioni sulla Divinoumanità).

Uscire, vedere, chiamare
Lo scorso anno l’occasione del «sinodo sui giovani» indetto da papa Francesco ha favorito una riflessione sui verbi fondamentali che hanno caratterizzato il percorso sinodale: uscire, vedere e chiamare. Il nostro pellegrinare ci permette di non dimenticare quanto il sinodo ci ha opportunamente aiutato a comprendere; infatti la stessa definizione di peregrinus indica la non appartenenza ai luoghi che si attraversano. È l’estraneità di chi viene peregre, dal di fuori, fuori da quell’ager romanus, che ha dato origine al nome.

Questa diversità, questa estraneità al mondo che si attraversa fa nascere un forte senso d’identità con coloro che percorrono la stessa via e che condividono il medesimo destino.

Umore e non fatto
Accanto a ciò non possiamo negare che la condizione attuale del vivere  mostra la debolezza del cristianesimo; esso appare infatti labile, non esiste come centro di gravità spirituale, e, al suo posto, si intende  la religiosità come umore e un gusto personale che alcuni hanno e altri non hanno, come ad alcuni piace la musica e ad altri no. Questo accade perché manca un centro assoluto: si moltiplicano i centri relativi e periferici della vita e della coscienza di ciascuno, aumentano i bisogni e gli interessi vari, i gusti e le mode, le opinioni e le concezioni, ma tutto è frammentato, dislocato dal centro.

A pancia bassa
L’intervento pastorale sa che riportare la fede nei giovani scoraggiati, che abitano i luoghi della quotidianità è compito complesso, poiché la fede sussiste in un luogo nella misura in cui vi è una tensione formata da persone, nel cammino della loro vita, che guardano la medesima meta.

Infatti, se la fede è ridotta a qualcosa che si esaurisce esclusivamente con il fare e non con la coscienza di coloro che sanno che «chi vede me vede il Padre» (Gv12,45) il rischio è proprio la riduzione. Essa diviene qualcosa che si può esaurire in questo mondo, tra la materia senza il soffio e la sola ragione; si comprende allora come mai lo stile di vita è sempre una sorta di moralismo, governato da regole elaborate da qualche ideologia. Così, quel cammino che porterebbe all’ascensione dell’umano viene invece ridotto al ridicolo: «questo si può», «quello non si deve», «questo lo dobbiamo fare».

Ecco perché molti abbandonano il cammino cristiano, se cristiano si può definire; esso, infatti, stanca e provoca il rigetto dello stile, delle regole e delle idee che lo gestiscono. E danno sfogo all’immediatezza, a ciò che eccita; si giustifica un nuovo stile che fa leva esclusivamente sul materiale e non più sul richiamo all’ideale.

Sì alla scienza, no alla scientificità
Come sappiamo, il mondo della materia viene in gran parte studiato dalle materie scientifiche e trattato dalle tecnologie; pertanto la reazione ad un moralismo di sfondo idealista porta a dare autorità, anche morale ed etica, alla scienza. Così è la regola del pendolo a dettare il ritmo.

Non tocca certo a noi, che viviamo a pieno i ritmi universitari, mettere  in dubbio il valore della scienza; essa è un fatto indiscutibile e indispensabile all’umanità. «Ma del valore e della necessità della scientificità si può dubitare. Scienza e scientificità sono due cose assolutamente distinte. La scientificità consiste nella trasposizione dei criteri della scienza in altri campi della vita spirituale che sono estranei alla scienza stessa. Essa si fonda sulla convinzione che la scienza costituisca il criterio supremo di tutta la vita dello spirito, che tutto debba essere assoggettato all’ordine da essa stabilito, e che i suoi divieti e le sue concessioni debbano essere vincolanti in ogni caso. Ma la scientificità non è la scienza e non deriva da essa. Nessuna scienza, infatti, dà direttive di scientificità per sfere ad essa estranee. Basti pensare a come l’astronomia, la fisica, la geologia, o la fisiologia non sono minimamente interessate alla scientificità della filosofia, alla classificazione scientifica della natura.
La scientificità (e non la scienza) esprime l’assoggettamento dello spirito alle sfere inferiori dell’essere, l’eterna ed onnipresente coscienza de potere della necessità, della dipendenza dalle leggi di gravità che caratterizzano il mondo. La scientificità è solo una delle espressioni della perdita della libertà dello spirito creativo» (N. BERDAJEV, Il senso della creazione, tr. it. cit., 49-50).

Alcuni suggerimenti
La Pastorale Universitaria, desidera approfondire questo dramma secolare, ha a cuore il soggetto, affinché possa divenire protagonista della sua vita, nella verità di chi, essendo cristiano, sa di essere salvato.
Ogni singola cappellania universitaria, con cappellani e collaboratori, desidera curare la realizzazione di ciò che è la finalità del cristianesimo nelle sue molteplici dimensioni: la dimensione educativo/culturale, la dimensione dell’evangelizzazione della catechesi (a coloro che desiderano prepararsi ai sacramenti), e l’orientamento vocazionale. Questi differenti aspetti dell’animazione della vita universitaria si concretizzano in numerose attività. Fanno parte della dimensione educativo/culturale le iniziative tendenti alla formazione umana a tutto campo: la comunicazione e l’informazione, i corsi organizzati dai centri pastorali con l’erogazione di CFU, le visite artistico culturali promosse dalle cappellanie o dai collegi diocesani di ispirazione cristiana, le varie caritative svolte in collaborazione con gli altri servizi diocesani o con le necessità legate all’ambiente limitrofo circostante, infine il rapporto con il territorio milanese per sua storia ricco particolarmente di arte.

Sono parte della cura della dimensione dell’evangelizzazione e della  catechesi iniziative varie: dalla celebrazione eucaristica all’animazione liturgica di altri momenti spirituali, le assemblee legate ad una esplicita formazione umano-cristiana proposte da movimenti e associazioni,  le forme di contatto e confronto con il Vangelo promosse nelle Università, senza escludere il modo vero e profondo di gestire il tempo dello studio.
La dimensione dell’orientamento vocazionale viene curata in forma implicita in tutta la proposta formativa, nei dialoghi informali, nei colloqui, negli incontri e conferenze previste lungo l’anno, siamo consapevoli che la vocazione, il discernimento giovanile, non matura nella solitudine o nell’isolamento ma solo grazie ad una comunità viva.

Rispondere al bisogno è il modo per vivere l’incontro e per permettere la vicinanza, frutto di attenzione. Ecco perché durante i periodi di chiusura dell’università le cappellanie  offriranno ai giovani studenti l’opportunità di poter studiare presso i diversi centri pastorali. Non c’è nulla di più cristiano che saper rispondere con impegno e fedeltà alla propria vocazione. Il contributo della Pastorale universitaria vuole essere l’esplicito aiuto affinché il giovane possa crescere in tutti gli aspetti.

Per la forma più esplicita e diretta circa l’orientamento vocazionale rimandiamo al Gruppo Samuele, al Coraggioso salto di qualità, Nati per amare e agli appuntamenti nella quale la Chiesa si raduna come ad esempio le Veglie con l’Arcivescovo, luoghi privilegiati nei quali lo Spirito parla al cuore e la Chiesa si mostra nella sua particolare unità.

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