L’anno pastorale che prende avvio e quello che seguirà ci porteranno a riscoprire e ad approfondire la dimensione culturale della fede, la sua reale e potente incidenza sulla vita.

di Sua Ecc.za Mons. Pierantonio Tremolada
Vicario episcopale per l'Evangelizzazione e i Sacramenti

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L’anno pastorale che prende avvio e quello che seguirà ci porteranno a riscoprire e ad approfondire la dimensione culturale della fede, la sua reale e potente incidenza sulla vita. L’invito del nostro Arcivescovo muove decisamente in questa direzione e si precisa come esortazione a comprendere sempre più chiaramente quanto san Paolo afferma in un passaggio della prima lettera ai Corinzi: “Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo!” (1Cor 2,16).
 

Il pensiero di Cristo è il suo modo di guardare la realtà, quel modo di considerarla che poi diventa anche il nostro. Non è un pensare intellettualistico ma un “sentire” complessivo e profondo, un percepire coscientemente.  È lo stare davanti al mondo senza disorientarsi, con la pacata lucidità che viene dallo Spirito di Dio e consente di avere una chiave di lettura del reale. Si tratta della vera sapienza, così cara alla tradizione biblica, sempre accompagnata dalla rettitudine e dalla bontà d’animo.
 

Avere il pensiero  di Cristo è grazia di Dio. Ce lo insegna san Paolo quando parla di un modo di giudicare, cioè di valutare le cose, che è frutto dello Spirito  di Dio (cf. 1Cor 2,12-16). Questo dono cresce ogni giorno, si sviluppa e si rafforza quando trova un cuore libero, che si interroga onestamente sulla verità del tutto, che anela a comprendere ciò che sta alla base degli eventi decisivi della storia, dei segreti movimenti del cuore dell’uomo, dei complessi processi che portano all’edificazione delle civiltà. Ma poi è la vita quotidiana che domanda risposte, quando ci costringe a misurarci con le gioie e i dolori, le scelte da compiere, le parole da pronunciare, gli atteggiamenti da assumere.
 

Il “pensiero comune”, cioè l’opinione pubblica, non ci è purtroppo di grande aiuto nell’assunzione di questo compito: essa appare estremamente fragile, fluttuante, esposta a mille condizionamenti, dominata da logiche molto lontane da quelle che vorremmo vedere applicate. Spiace riconoscerlo, consapevoli come siamo del grande compito e della grave responsabilità che si assumono davanti alla società quanti operano nell’ambito della comunicazione.
 

È perciò sempre più urgente riscoprire e mostrare la rilevanza culturale della nostra fede, la sua capacità di plasmare un vissuto autentico, di suscitare attenzione e attrazione, di proporsi senza imporsi. Vi è un modo di essere e di agire, in ultima analisi di vivere, che è capace di presentarsi senza forzature in tutta la sua mansueta bellezza. Siamo chiamati – come dice l’apostolo Pietro nella sua prima lettera – a “rendere ragione della speranza che è in noi a chiunque ce ne chieda conto” (cf. 1Pt 3,15). Con sincera gratitudine nei confronti di Colui che ci ha salvati, noi possiamo presentarci al mondo offrendo uno stile di vita condiviso che sorge dal Vangelo e che porta in sé qualcosa di realmente nuovo: una forma di esistenza gioiosa e seria, fresca e forte, capace di far fronte alle sfide attuali.
 

Ad una libertà che rivendica oggi tutto il suo valore noi rendiamo onore proprio presentando la testimonianza di una vita che poggia su una scelta libera – la nostra – che è risposta ad una scelta libera – quella di Dio a nostro favore – entrambe dettate dall’amore: la seconda alla base della prima. “Dio – si legge nel quarto Vangelo – ha tanto amato il mondo da dare a noi il suo unico Figlio, perché chiunque crede in lui non vada perduto ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). E ancora: “Nessuno ha un amore più grandi di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). Siamo convinti che la “libertà di scegliere” diventa poi “libertà di aver scelto” e assume quindi la forma della fedeltà, motivata da un amore sincero. Nessuno ci obbliga ad amare: è la libertà stessa che considera questo un dovere da assumere e lo trasforma nell’unica regola che poi la determina, per sempre e di volta in volta. La vera libertà infatti non teme di darsi una forma, anzi lo esige, perché non può essere separata dalla responsabilità. Che cosa questo significhi nei diversi versanti dell’esperienza soggettiva e sociale del vivere sarebbe molto opportuno approfondirlo, anche attraverso una riflessione di ampio respiro e a più voci.
 

La sostanza della rivelazione cristiana è la misericordia di Dio, intesa come positiva e costante disposizione di Dio nei confronti dell’uomo, amore fedele che non indietreggia di fronte alla sua infedeltà, benevolenza tenace che diventa perdono e sfocia nella compassione. L’anno giubilare della misericordia indetto da papa Francesco ci riporta a questo nucleo incandescente della nostra fede. La misericordia di Dio è anche la chiave di volta del Vangelo di Cristo ed è perciò anche l’elemento sostanziale di quella visione della realtà che viene a coincidere con la dimensione culturale della fede cristiana. Lo sguardo del cristiano sul mondo non può che essere quello della misericordia propria di Dio e condivisa con i credenti, misericordia che è simpatia, affetto, solidarietà per l’umanità ferita dal male, ma anche vigilanza, onestà, amore per la giustizia, fedeltà al bene fino al sacrificio di sé.

Il brano del quarto Vangelo che è posto in apertura di questo “Annuario della Pastorale Giovanile” costituisce il testo di riferimento per il cammino di quest’anno. Presenta la figura di Pietro in un momento che – potremmo dire – rappresentò per lui una verifica del suo modo di pensare e di agire. La triplice domanda che Gesù gli rivolge incontrandolo dopo la sua risurrezione gli ricorda il suo triplice rinnegamento mentre gli affida il compito di guidare l’intera sua Chiesa: per tre volte il Risorto gli chiede: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami?” e per tre volte gli raccomanda: “Pasci i miei agnelli” (Gv 21,15-19). Anche Pietro dovette lottare per entrare nel “pensiero di Cristo”: resistette, contestò, si impaurì , ma alla fine la misericordia del suo Signore ebbe la meglio. Non fu facile per Pietro accettare le parole misteriose di Gesù sul pane della vita (cf. Gv 6), condividere la decisione di Gesù di lavare i piedi dei suoi apostoli (cf. Gv 13), seguirlo lungo la via che lo condusse al calvario, immaginare di perderlo e di vederlo sconfitto. E infatti, al momento cruciale dichiarò di non essere suo discepolo (Gv 18,13-27). Gesù sa bene che entrare nel suo modo di vedere le cose esige un cammino di conversione, di affidamento e ha piacere di rialzare il suo amato discepolo quando cade tentando di rimanere fedele. Ci conforta sapere che il primo dei discepoli e il capo degli apostoli ha avuto bisogno della misericordia di Gesù per “entrare nel suo pensiero”.
 

In questo quadro di ampio respiro trova la sua adeguata collocazione la proposta pastorale rivolta quest’anno ai giovani e ai ragazzi della nostra diocesi, che viene qui illustrata. Essa si articola in una ricca serie di iniziative, alcune delle quali ormai consolidate, altre che cercano di rispondere con evangelica sapienza alle esigenze del momento attuale.
 

È mio dovere – e lo faccio volentieri – ringraziare tutti coloro che generosamente si sono impegnati ad elaborare e a presentare questa proposta e tutti coloro che, altrettanto generosamente, si adopereranno affinché essa trovi attuazione a beneficio dei ragazzi e dei giovani della nostra diocesi. Alla potenza amorevole dello Spirito del Signore affidiamo con fiducia il nostro cammino.

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