L’imprevedibile ci è venuto incontro e la domanda che spesso ci rivolgiamo è: "Cambierà qualcosa?". Il prof. Petrosino nel dialogo con alcuni giovani ha sottolineato che per cambiare non basta che succeda qualcosa, è necessario voler cambiare, è necessario fermarsi a riflettere su ciò che è accaduto, cosa non semplice. In sintesi, tutto dipenderà dalla nostra libertà e dalla nostra responsabilità, da come noi andremo incontro a questo imprevedibile.

di Roberta Casoli
Ausiliaria diocesana

Petrosino in dialogo con alcuni giovani di Milano

“Non è il tempo del giudizio di Dio è il tempo del nostro giudizio” (papa Francesco, 27 marzo, piazza san Pietro).

La conversazione con il prof. Silvano Petrosino, docente di Antropologia filosofica e di Filosofia della comunicazione presso l’Università Cattolica di Milano, ci ha offerto qualche criterio per esprimere un giudizio e soprattutto per assumere responsabilmente questo tempo che lui ha definito come lo scandalo dell’imprevedibile.

Il nostro tempo, la nostra vita, fino ad oggi, sono stati caratterizzati dalla ricerca della previsione: prevediamo, programmiamo le nostre vacanze, il nostro tempo, i nostri incontri, riempiamo la nostra agenda…

Ma quello che ci è capitato in questo tempo è stata l’irruzione dell’imprevedibile… qualcosa di assolutamente inimmaginabile si è presentato nei nostri giorni.

L’imprevedibile ci è venuto incontro e la domanda che ci spesso ci rivolgiamo è: “Cambierà qualcosa?”. Non siamo fatalisti e riconosciamo che perché cambi qualcosa non basta che qualcosa accada. Occorre assumere e andare incontro a ciò che ci è venuto incontro. La legge dell’incontro ci suggerisce che perché qualcosa accada è necessario decidere di cambiare, di fermarsi a riflettere: è necessaria una apertura, una memoria e una speranza.

Tutto dipenderà dalla nostra libertà e dalla nostra responsabilità, da come noi andremo incontro a questo imprevedibile.

Paradossalmente questo tempo potrebbe indurre ciascuno di noi, ma anche la nostra società, ad assumere due posizioni opposte, che partono dal comune riconoscimento del fatto che la nostra vita è breve, che siamo fragili.

La prima: proprio perché la mia vita è breve è meglio che mi diverta, che pensi a me stesso, non vale la pena fare il bene!
In alternativa: proprio perché breve, vale la pena usare il tempo a mia disposizione per fare il bene.

Per fortuna non saremo mai liberati da questo rischio radicale, ne va della nostra libertà e responsabilità: il grano e la zizzania crescono insieme, non potremo mai separare il male dal bene, ed essere certi di compiere solo il bene: sarebbe una tentazione radicale.

Quello su cui la Bibbia ci avverte è che nulla però potrà mai giustificare il male, né chiamare il male bene e viceversa.

Un dialogo che ci provoca, che non ci dà soluzioni ma ci stuzzica a cercarle: a noi tocca giudicare, riflettere, immaginare perché l’umano emerga in tutta la sua ricchezza.

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