A partire dalle indicazioni offerte dall'Arcivescovo nella Nota «La comunità educante», vorremmo in questo anno pastorale sostare un poco a riflettere sul significato, sulla qualità e sulle implicazioni della comunione nella vita concreta dei ragazzi nei nostri oratori.

di don Samuele Marelli
Direttore della FOM - Responsabile Servizio ragazzi, adolescenti e oratorio

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Il cristianesimo racchiude un principio comunitario che non può essere disatteso. Il Vangelo esige la comunione e nel contempo la offre come esperienza ineludibile e imprescindibile; tale comunione costituisce da una parte il punto sorgivo di ogni esperienza spirituale e dall’altra la sua condizione di possibilità e il suo criterio di verifica.

Per questo, a partire dalle indicazioni offerte dall’Arcivescovo nella Nota «La comunità educante», vorremmo in questo anno pastorale sostare un poco a riflettere sul significato, sulla qualità e sulle implicazioni della comunione nella vita concreta dei ragazzi nei nostri oratori. La proposta si colloca dunque in strettissima continuità con quella dello scorso anno. Non basta infatti una vita «a tutto campo», se questa vita rimane frammentata e non riesce a trovare una sintesi personale anche attraverso un vissuto comunitario forte e significativo.

Lo stesso Arcivescovo ci ricorda che «c’è bisogno di una comunità in cui l’incontro con Gesù venga vissuto e praticato effettivamente come principio di unità dell’io e della realtà» (A. Scola, La comunità educante, pag. 19).

Pur nella convinzione che la proposta delle comunità educanti si riferisce in modo diretto agli adulti educatori e solo successivamente, in modo indiretto, ai ragazzi, anche questi ultimi sono chiamati a riflettere sul fatto che «solo insieme», cioè in una comunità concreta e vivibile, si può diventare grandi e sperimentare la bellezza esigente e consolante del Vangelo.

In questo anno ci lasceremo guidare e istruire dall’icona evangelica della chiamata dei dodici nel Vangelo di Marco (3,13-19), dalla quale ricaveremo alcune indicazioni preziose per il cammino dei nostri oratori.

La prima va nella direzione di una rinnovata e più profonda persuasione del fatto che ogni autentica comunione viene da Dio, oltre che ad essere a lui orientata. La comunione non è dunque anzitutto frutto dei nostri sforzi ma dono del Padre creatore, attraverso il Figlio redentore e per la partecipazione allo stesso Spirito consolatore. A noi, semmai, spetta la custodia di questo dono prezioso che ci precede e ci supera, nel grande abbraccio della Trinità. Anche il brano di Marco sottolinea, in modo chiaro e inequivocabile, l’iniziativa di Gesù nella costituzione del gruppo dei dodici. Questo ci rasserena, ci dona fiducia e speranza, perché ci assicura che questa comunione non è in balia delle nostre fragilità e delle nostre contraddizioni ma viene da Dio.

Una seconda indicazione ci orienta verso le esigenze concrete di questa comunione. Essa non è infatti pura condivisione ideale ma, nella proposta di Gesù, assume invece i tratti precisi di una comunione di vita che richiede tempi generosi e contesti ben definiti. L’invito alla missione si fonda infatti sulla partecipazione ad una vita condivisa con Gesù in una comunità. Ciò costituisce un richiamo a superare una certa idealizzazione della comunione stessa a favore di una concretezza di vita che renda esperibili dei rapporti significativi.

Infine, il brano di Marco si sofferma lungamente sul nome dei dodici, quasi a dire che la comunione non prescinde dalla diversità, anzi, in qualche modo la esige. La comunione è perciò sempre e solo comunione  tra le diversità e nelle diversità, nella comune attrazione esercitata da un principio di unità costituito dalla persona stessa di Gesù.

Così, ripartiamo in questo nuovo anno pastorale «solo insieme», perché è così che Dio ci ha pensati, creati e amati.

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