"Dimbaleh Nyu" è un'esperienza nata dal basso, dalla disponibilità dei volontari di un oratorio, e ha consentito di creare nuovi legami e nuove possibilità di cura e attenzione da parte di una comunità nei confronti dei minori più bisognosi. Per questo motivo è stata una delle esperienze che in questi mesi è stata "sotto osservazione", da parte del nostro tavolo tecnico operativo, nell'ambito del nostro progetto Èoratorio. L'esperienza presso l'Oratorio di San Giovanni Battista alla Bicocca ha visto il supporto delle figure professionali più adatte, un mediatore linguistico e un’educatrice. Partendo dal riparare una bicicletta, dalla creazione di un mosaico o dalla costruzione di una sedia si può creare comunità anche con i ragazzi che non parlano la stessa lingua o che hanno una fede diversa dalla nostra. Questa ci sembra un'ottima prospettiva di studio per individuare linee riproducibili per oratori che sappiano accogliere la sfida della contemporaneità. L'intercultura e l'aggregazione sono solo alcuni degli “orizzonti” con i quali ci stiamo confrontando nel progetto Èoratorio, per riaffermare l’identità, la funzione e l’efficacia educativa dell’oratorio in questo tempo di cambiamenti in atto. Approfondisci qui l'esperienza Dimbaleh Nyu.
Responsabili convinti, volontari motivati. Così il progetto Dimbaleh Nyu, “aiutiamoci” in wolof, la lingua più parlata in Senegal, ha spento con successo la prima candelina, per lasciare posto, in questi giorni, all’Oratorio estivo. Gli spazi utilizzati sono quelli dell’Oratorio S. Giovanni Battista alla Bicocca, a Milano, che ha risposto all’appello della Diocesi per dare una mano nell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati (i Servizi sociali del Comune ne hanno in carico circa 1200), soprattutto nelle prime settimane dopo il loro arrivo in città. Così, dopo alcuni mesi di rodaggio già nell’anno scorso, da ottobre a fine maggio circa 150 ragazzi di 18 nazionalità diverse hanno sfruttato, durante la settimana, le aule dell’oratorio, facendo vivere questi spazi anche alla mattina. Decisiva per iniziare questa avventura la presenza costante di un’educatrice professionale: prima la stessa responsabile dell’oratorio, quindi un’operatrice di Farsi Prossimo, che ha coordinato tutti i soggetti coinvolti, dai volontari alle comunità di accoglienza: «il mio ruolo coi volontari – spiega Marta Galimberti, l’educatrice di Farsi Prossimo – è stato anche quello della formazione, per permettergli di conoscere il fenomeno migratorio dei minori non accompagnati e prepararli nella gestione delle diverse dinamiche, così che ogni momento che si vive in oratorio possa rientrare nel percorso di accoglienza e integrazione che è stato pensato per loro. È importante, ad esempio, rileggere insieme ai volontari anche un episodio normale come un litigio durante una partita a calcio, perché può essere un’occasione per aiutare i ragazzi a crescere nel modo di rapportarsi con gli altri». Fondamentale anche la presenza di un mediatore culturale in lingua araba, che ha permesso di ragionare insieme ai ragazzi anche quando serviva un intervento educativo in lingua madre. Altrettanto indispensabile è stato l’impegno dei volontari, una quarantina quelli che, alternandosi, sono stati presenti tutto l’anno. «La loro motivazione – sottolinea ancora Marta – ci ha consentito di sognare in grande. Oltre alle lezioni di italiano abbiamo aggiunto un laboratorio di falegnameria e uno di elettricista, insieme a una semplice ciclofficina. Abbiamo avuto anche un’insegnante di teatro: per i ragazzi è importante poter esprimersi liberamente e rielaborare il proprio percorso migratorio».
«A spingere noi volontari è stato il senso di un’urgenza umana», testimonia Silvia, una delle coordinatrici. «È che questo ci ha portato ad accettare la sfida e a dirci “forse qualcosa lo possiamo fare”. L’aspetto più importante era dare a questi ragazzi uno spazio di senso; poi abbiamo fatto diverse cose, raccogliendo tantissimo da un’esperienza che è stata stimolante e piacevole: questi ragazzi ci hanno fatto sentire di poter esprimere quella fraternità che sempre diciamo di voler comunicare agli altri». Hanno risposto all’appello anche diverse persone non legate alla comunità: «abbiamo scoperto che questo interesse per l’umanità è veramente condiviso da tanti, anche al di fuori dell’ambito ecclesiale», conferma Silvia; «poter condividere anche con chi non è credente questo comune interesse per l’uomo è stato davvero bello». Tra i volontari anche chi, qualche decennio fa, ha fatto un percorso simile a questi ragazzi. Come Jacob, originario dell’Eritrea e da poco in pensione, dopo una vita come manutentore, che spiega: «sono arrivato in Italia alla fine degli anni ’70 e ho imparato la lingua e il mestiere. In fondo questi ragazzi sono come me, voglio insegnargli qualcosa di quello che so; io non parlerò mai la loro lingua né loro la mia, ma parliamo in italiano».
Qualche segreto in più per un gruppo di volontari motivato lo svela Francesca Galeotta, responsabile dell’oratorio: «l’appello per un progetto come questo raccoglie anche adesioni che sono più “di pancia” rispetto al doposcuola o al catechismo; poi è importante avere cura degli stessi volontari: chi si sente valorizzato, voluto bene viene più volentieri». E sul progetto nel suo complesso rassicura: «serve un grande impegno all’inizio, poi la comunità si muove».
Fin qui il punto di vista degli adulti. Ma qual è stata l’esperienza dei ragazzi? Come il progetto di Dimbaleh Nyu si è incrociato con l’esperienza dell’oratorio? L’aspetto prezioso è che alcuni dei ragazzi coinvolti entrano davvero a far parte della comunità, risponde Galeotta: «qualcuno di loro già l’anno scorso ha fatto l’oratorio estivo, alcuni sono venuti in montagna con noi, alcuni ancora oggi fanno parte del gruppo adolescenti dell’oratorio: credo che grazie a questo progetto qui trovino una casa, un luogo dove tornare. Anche i nostri adolescenti hanno imparato tanto: noi non siamo mai contenti di nulla, ma conoscere chi ha una storia impegnativa alle spalle e riesce comunque, tutti i giorni, a portare gioia, è una cosa che fa crescere molto anche i nostri ragazzi».
Una condivisione che ha superato anche qualche timore iniziale per la diversità culturale o di credo religioso, dato che molti dei ragazzi sono di fede musulmana. Distanze che si sono in qualche modo annullate in cucina, con i ragazzi che preparano gli gnocchi o la pasta pasticciata, ma anche nella preghiera. «I ragazzi che sono venuti in montagna ci hanno insegnato cosa vuol dire pregare, perché qualsiasi cosa stessimo facendo si fermavano per il momento della preghiera; e con uno di loro, che viene al gruppo adolescenti, spesso ci scambiamo la richiesta di pregare l’uno per l’altro», racconta Galeotta, che aggiunge: «ci si rende conto che siamo tutti figli di un unico Dio, e quest’esperienza ci ha mostrato come si possa imparare gli uni dagli altri a credere e ad avere fede».
Un’esperienza che ha dunque dato molto non solo a chi è arrivato da lontano ma anche a chi già abitava l’ambiente dell’oratorio, creando nuovi legami nella comunità. Anche questo, dunque, può essere un modo per evangelizzare e per essere Chiesa. Per essere Oratorio.
Questa è una delle esperienze di Èoratorio
Questa che vi abbiamo raccontato è solo una delle esperienze che sono prese in considerazione per una lettura e una valutazione di replicabilità. Quanto emergerà da un focus group sarà presentato al tavolo di progettazione di Èoratorio e diventerà oggetto di studio da parte dei docenti universitari che, insieme ai nostri responsabili, formano il Comitato scientifico di ricerca. Il loro compito sarà, infatti, evidenziare i tratti di novità sul piano della lettura sociologica, dell’approccio pedagogico e della comprensione teologica che emergono da ciascuna delle esperienze che vengono “investigate” in questa fase immersiva di ricerca che vede protagonisti i nostri operatori sul campo. Oltre che, su un piano che potremmo definire culturale, abbiamo l’obiettivo di mostrare il valore sociale della proposta oratoriana, secondo le finalità più generali del progetto finanziato da Banca Intesa Sanpaolo.
Prima ancora di queste conclusioni, a noi interessa evidenziare come in queste iniziative possiamo leggere rinnovate modalità per accompagnare la crescita dei più piccoli. E – questo è quello su ciò scommettiamo – capire come le esperienze che stiamo studiando siano non solo valide ma anche replicabili in altri oratori della diocesi, secondo le peculiarità di ogni realtà e le esigenze che emergono dal contesto sociale.
Per guardare al futuro consapevoli dei tanti modi in cui possiamo dire… “È oratorio”.
Che cos’è Èoratorio?
Èoratorio è il nuovo progetto che la FOM attiva per ripensare l’oratorio in relazione alle nuove sfide educative, affinché l’oratorio possa rispondere ancora meglio alle esigenze e ai bisogni delle nuove generazioni, continuando a offrire la prospettiva della fede e gli strumenti necessari per crescere in modo integrale, con proposte di prossimità e ospitalità che siano al passo con la vita dei ragazzi e delle ragazze.
Èoratorio è un percorso lungo che durerà almeno fino al 2027, con l’obiettivo di “consegnare” progettualità e opportunità nuove per l’oratorio. Prenderanno forma grazie a una sperimentazione “sul campo” che avrà un fondamento solido e un riscontro scientifico, attraverso lo studio delle scienze umane e della teologia pastorale.
Il progetto Èoratorio ha mosso i suoi primi passi già nel corso del 2024, per strutturarsi e darsi una metodologia fondata e affidabile che permetterà di continuare la progettazione per altri tre anni di lavoro, con un investimento di persone e risorse che intercettano diversi mondi ecclesiali e servizi diocesani. Il progetto Èoratorio viene presentato ora, mentre sta per avviarsi la prima fase immersiva in alcuni territori individuati, con i quali si collaborerà per sperimentare buone pratiche che intercettino le sfide educative emergenti.
Intercultura, orientamento, aggregazione, spiritualità sono solo alcuni degli “orizzonti” con i quali si confronterà il progetto Èoratorio, per riaffermare l’identità, la funzione e l’efficacia educativa dell’oratorio in questo tempo di cambiamenti in atto, nel quale è la vita dei ragazzi e delle ragazze, di preadolescenti e adolescenti, a cambiare sempre più velocemente.
Linee progettuali, finalità, composizione (pdf)
Èoratorio, significato, slogan e logo (pdf)
Video di presentazione (Youtube)
Leggi l’articolo sulla presentazione del progetto (Chiesadimilano.it)
Playlist ufficiale del progetto Èoratorio
Video degli interventi all’Incontro di presentazione del 12 novembre 2024
Il progetto Èoratorio non è “solo un’idea”, ma una vera e propria sfida per ripensare gli oratori come luoghi centrali di educazione e incontro nella società di oggi. Il 12 novembre scorso abbiamo organizzato un incontro a Milano con i principali protagonisti del progetto: i membri del Tavolo tecnico di progetto con operatori della FOM e altri provenienti da diversi soggetti ecclesiali e i membri del Comitato scientifico di ricerca che coinvolge l’Università Cattolica, l’Università degli Studi di Milano e l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, il Seminario di Milano e l’Istituto Superiore di Scienze Religiose.
Sono intervenuti don Giuseppe Como, Presidente della FOM e Vicario episcopale per la celebrazione e l’educazione della fede, don Stefano Guidi, direttore della FOM, don Claudio Burgio, che collabora con il progetto, Antonino Romeo, referente dell’area progettazione della FOM. E poi Cristina Pasqualini e Giulia Schiavone, che hanno spiegato l’approccio interdisciplinare e le prime esperienze di ricerca sul campo, e suor Rosina Barbari, che ha offerto una riflessione profonda sul significato degli oratori come spazi vivi e in dialogo con il territorio.













