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Olimpiade

Vancouver, il piatto azzurro piange

di Mauro COLOMBO Redazione

1 Marzo 2010

Il sipario delle Olimpiadi di Vancouver si chiude su un medagliere azzurro obiettivamente scarso: un oro (Razzoli nello slalom), un argento (Piller Cottrer nella 15 km di fondo) e tre bronzi (Zoeggeler nello slittino, Pittin nel salto, la Fontana nello short-track). Un bilancio lontano da quello di Torino 2006 (undici medaglie complessive), ma anche da quello stilato preventivamente – otto podi -, che teneva conto del tradizionale calo sofferto dalle Nazioni padroni di casa nell’edizione precedente. Molte cose non sono andate per il verso giusto, evidentemente, e le polemiche intestine che hanno accompagnato alcune prestazioni infelici lo testimoniano.
Diversi atleti non hanno ripetuto le performances di quattro anni fa: pensiamo per esempio a Fabris, mattattore del pattinaggio veloce a Torino, comparsa a Vancouver. Altri hanno confermato limiti di personalità che le competizioni più prestigiose puntualmente evidenziano. Il primo nome che viene in mente è quello di Carolina Kostner, ma la stessa considerazione si può fare a proposito degli sciatori: l’exploit di Razzoli ha nobilitato l’intera spedizione, ma ha anche coperto le troppe magagne di un settore che, per l’ennesima volta, nell’anno olimpico raccoglie risultati benauguranti in Coppa del Mondo nei mesi precedenti e poi si squaglia sotto i cinque cerchi.
Se ci sono veterani capaci di restare sulla breccia – come Zoeggeler -, altri denunciano impietosamente il segno del tempo. È il caso del fondo dove, Piller Cottrer a parte, tutti hanno pagato i quattro anni in più. Agli eroi di Torino 2006 non si può dire nulla, se non grazie. Vale invece la pena chiedere perché, alle loro spalle, finora non siano cresciuti atleti di altrettanto spessore internazionale.
Da Vancouver gli sport invernali azzurri ripartono verso la prossima edizione, a Sochi, in Russia, con il preciso dovere di rinnovare la rosa (e forse anche qualche quadro tecnico) e innovare anche le modalità di preparazione. Tenendosi ben stretti i talenti più giovani, come la Fontana, ed evitando che possano perdersi nei meandri di diatribe sterili e improduttive. Il sipario delle Olimpiadi di Vancouver si chiude su un medagliere azzurro obiettivamente scarso: un oro (Razzoli nello slalom), un argento (Piller Cottrer nella 15 km di fondo) e tre bronzi (Zoeggeler nello slittino, Pittin nel salto, la Fontana nello short-track). Un bilancio lontano da quello di Torino 2006 (undici medaglie complessive), ma anche da quello stilato preventivamente – otto podi -, che teneva conto del tradizionale calo sofferto dalle Nazioni padroni di casa nell’edizione precedente. Molte cose non sono andate per il verso giusto, evidentemente, e le polemiche intestine che hanno accompagnato alcune prestazioni infelici lo testimoniano.Diversi atleti non hanno ripetuto le performances di quattro anni fa: pensiamo per esempio a Fabris, mattattore del pattinaggio veloce a Torino, comparsa a Vancouver. Altri hanno confermato limiti di personalità che le competizioni più prestigiose puntualmente evidenziano. Il primo nome che viene in mente è quello di Carolina Kostner, ma la stessa considerazione si può fare a proposito degli sciatori: l’exploit di Razzoli ha nobilitato l’intera spedizione, ma ha anche coperto le troppe magagne di un settore che, per l’ennesima volta, nell’anno olimpico raccoglie risultati benauguranti in Coppa del Mondo nei mesi precedenti e poi si squaglia sotto i cinque cerchi.Se ci sono veterani capaci di restare sulla breccia – come Zoeggeler -, altri denunciano impietosamente il segno del tempo. È il caso del fondo dove, Piller Cottrer a parte, tutti hanno pagato i quattro anni in più. Agli eroi di Torino 2006 non si può dire nulla, se non grazie. Vale invece la pena chiedere perché, alle loro spalle, finora non siano cresciuti atleti di altrettanto spessore internazionale.Da Vancouver gli sport invernali azzurri ripartono verso la prossima edizione, a Sochi, in Russia, con il preciso dovere di rinnovare la rosa (e forse anche qualche quadro tecnico) e innovare anche le modalità di preparazione. Tenendosi ben stretti i talenti più giovani, come la Fontana, ed evitando che possano perdersi nei meandri di diatribe sterili e improduttive.