Link: https://www.chiesadimilano.it/news/sport-sport/sport-sportsport-anno-2008/chiappucci-un-diablo-al-tour-38666.html
Share

CHIAPPUCCI, UN “DIABLO” AL TOUR

5 Giugno 2008

«Al pubblico piacevo perché cercavo sempre qualcosa fuori dell’ordinario – spiega l’ex corridore varesino, tre volte sul podio a Parigi -. Per battere Armstrong, Basso deve attaccare di più»

di Mauro Colombo

Per la folla del Tour de France il coraggio, la grinta, la tenacia non hanno bandiera. Nella storia della corsa non mancano casi di “adozione”, da parte del pubblico francese, di atleti stranieri in possesso di queste qualità. E’ capitato anche a Claudio Chiappucci, El Diablo.

Alla Grande Boucle l’ex corridore varesino, oggi 42enne, è arrivato tre volte sul podio di Parigi (secondo nel 1990 e nel 1992, terzo nel 1991), si è aggiudicato tre tappe (con l’impresa solitaria sul Sestrière del 1992), ha indossato la maglia gialla e vinto la maglia a pois di re della montagna in due edizioni.

Ha conquistato tutti con il suo modo di correre sempre all’attacco, sempre all’arrembaggio, sempre solo contro tutti. Così è nato Sciapucì: «I francesi sono molto nazionalisti e legati ai loro atleti. Per entrare nel loro cuore, da straniero, bisogna fare qualcosa di importante. Non basta vincere, occorre davvero realizzare cose fuori dell’ordinario. Evidentemente io ci riuscivo…».

Al Tour del 1990 hai vissuto il salto di qualità da buon corridore a campione…
Per un ciclista il Tour è il principale traguardo della stagione, un evento unico. Quell’edizione effettivamente mi valorizzò, mi fece uscire dal gruppo dei ciclisti “normali” e mi proiettò nella dimensione dei numeri 1, dandomi un’immagine diversa rispetto a quella di tutti gli altri.

Il ricordo più bello legato alla corsa francese?
Sono due. Il primo è la conquista della maglia gialla nel 1990. Non me l’aspettavo, anche se ero andato al Tour convinto di far bene. Il secondo è invece la tappa vinta al Sestrière nel 1992. Non solo una vittoria, ma qualcosa di più: una galoppata solitaria, con tutti gli altri coalizzati contro di me, perché non ero un corridore a cui si poteva dare via libera. Eppure sono riuscito a non farmi riprendere.

Hai pensato qualche volta di vincere il Tour?
Proprio nel 1992. Avevo preparato tutto, mi sentivo davvero forte. La stessa tappa del Sestrière era stata studiata a tavolino, ci tenevo a vincerla perché era l’unica che arrivava in Italia. Ma Indurain – grazie all’aiuto che tanti gli diedero – contenne i danni e il distacco: fortunato lui, sfortunato io. Fu quello il momento in cui arrivai più vicino alla vittoria finale.

Sulla tua strada hai trovato Indurain. Oggi il padrone del Tour è Armstrong. Un parallelo tra i due?
Sono completamente diversi. Indurain era il numero 1 di un ciclismo più duro, non si limitava al Tour, ma faceva anche il Giro e altre corse, aveva avversari forti e dichiarati. Armstrong corre solo il Tour, programma la stagione in funzione di questa corsa e, a dire la verità, in questi anni non ha mai avuto grandi rivali.

Ora ci prova Ivan Basso…
Credo sia al massimo delle sue potenzialità. Per tentare il colpo grosso dovrebbe forse andare un po’ contro la sua natura di attendista – che in questi anni gli ha fatto perdere qualche occasione – e provare ad anticipare, attaccando decisamente. Anche perché, ripeto, grandi avversari non ne vedo.

Si può ancora essere protagonisti al Giro e al Tour nello stesso anno?
In teoria sì. In pratica, però, l’assetto attuale del ciclismo fa sì che i corridori preferiscano selezionare i loro obiettivi. Così, se uno prepara le “classiche”, poi non fa le corse a tappe, oppure se punta a vincere il Tour rinuncia o non si spreme al Giro. Con il rischio, poi, che se per qualsiasi motivo il traguardo mirato sfuma, si deve riprogrammare tutto l’anno per avere altre chances. È il difetto del ciclismo di oggi.

Guardando il percorso, dove si deciderà l’edizione di quest’anno?
Chi punta alla maglia gialla, naturalmente, darà il meglio nelle tappe di alta montagna. Io però mi aspetto sempre la rivelazione di qualche corridore, magari non troppo conosciuto, che provi a far “saltare” la corsa magari nelle frazioni di media montagna. Questo renderebbe il Tour più combattuto, avvincente e, in definitiva, interessante per la gente.