La vicenda di Rolando, il senza dimora trovato morto la mattina di domenica 19 gennaio davanti a un supermercato a Gratosoglio, ha riaperto alcuni interrogativi sulle difficoltà nel saper e poter aiutare le persone che tutti i giorni vivono sulla strada, ma che non sempre accettano l’aiuto offerto.
Lo stesso don Paolo Steffano, responsabile della Comunità pastorale della Visitazione della Vergine Maria, che raccoglie i fedeli di quattro parrocchie del Gratosoglio (San Barnaba, Maria Madre della Chiesa, Santi Pietro e Paolo ai Tre Ronchetti e Santa Teresa di Calcutta alle Terrazze), ha raccontato con rammarico che né Rolando in particolare, né altri senza dimora della zona avevano mai accettato il suo aiuto o quello degli operatori sociali.
Un rifiuto non raro tra chi vive in condizioni di marginalità estrema, come conferma Magda Baietta, presidente dell’associazione Ronda Carità e solidarietà Milano Odv: «Noi insistiamo tantissimo sull’accompagnarli in questi iter, ma i risultati purtroppo sono deludenti. Non sempre i centri istituiti dal Comune per il Piano freddo sono accoglienti e l’iter burocratico per accedervi non è da meno».
Questi complessi percorsi di accoglienza e i lunghi tempi di attesa scoraggiano molti senzatetto. Baietta spiega che per accedere ai servizi è necessario iniziare dal Centro Sammartini, affrontando un primo colloquio, una visita medica e ulteriori incontri: «Ma per chi vive per strada, è difficile programmare a lungo termine. Ogni giorno si svegliano con priorità ben diverse: trovare da mangiare, un riparo, lavarsi e cambiarsi. Noi cerchiamo di aiutarli nella gestione degli appuntamenti, già complicata di per sé, ma diventa quasi impossibile da affrontare per chi affronta problemi di dipendenze o patologie».
Le esperienze descritte da Baietta spiegano in parte anche la ritrosia di una persona, costretta a vivere nella strada e al freddo, sul perché non si apra al prossimo sulle proprie difficoltà, anche sanitarie. La presidente definisce l’effetto della vita in strada alla stregua di una malattia cronica: «Più ci stai, più penetra nella tua testa. Gli stessi sociologi che hanno studiato il fenomeno affermano che per ogni anno di strada ce ne vogliono tre per uscirne. Ti convinci inoltre di potercela fare da solo e più tempo passa, più cresce la paura di ricominciare, perché pesa il timore di fallire ancora. Il nostro lavoro, purtroppo, è costellato di tantissime delusioni, di passi avanti che possono essere cancellati da una ricaduta, che ti porta a smettere di crederci».




