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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Milano

Ripensare alle strutture di permanenza

Chiude per due mesi il Cie di via Corelli. «Più che luoghi di identificazione sono diventati negli anni luoghi di reclusione nell’attesa dell’espulsione - spiega Luciano Gualzetti, vicedirettore di Caritas Ambrosiana -. Abbiamo scelto di esserci mantenendo le nostre perplessità dal punto di vista umanitario»

di Francesca LOZITO

30 Dicembre 2013

Due mesi di chiusura per il Cie di via Corelli. Un nuovo bando per la gestione della struttura. E il ripensamento, a livello nazionale, del senso di queste strutture. A partire dal periodo di permanenza degli immigrati.

Caritas Ambrosiana in questi anni è stata presente nella struttura di via Corelli come osservatrice: «Non ne abbiamo mai condiviso la filosofia – tiene subito a precisare il vicedirettore Luciano Gualzetti – i Cie, più che luoghi di identificazione sono diventati negli anni luoghi di reclusione nell’attesa dell’espulsione. Come Caritas abbiamo scelto di esserci mantenendo le nostre perplessità e solo in una prospettiva umanitaria – la logica securitaria enfatizzata dopo l’istituzione del reato di clandestinità non ci appartiene – per poter essere presenti ed offrire ascolto, relazioni umane in un contesto alienante, orientamento legale, tutela delle persone vulnerabili, (richiedenti asilo, vittime della tratta), favorire relazioni con le famiglie. In sintesi una scelta di prossimità alle persone…».

L’occasione della chiusura temporanea, va secondo Gualzetti sfruttata per far emergere le contraddizioni presenti nel Cie quale strumento di contrasto dell’immigrazione irregolare che rispecchia la confusione della gestione del fenomeno migratorio. «Si pensi solo al fatto che non c’é chiarezza, anche a livello di dibattito nell’opinione pubblica, tra immigrati economici e i rifugiati. Può succedere che nei Cie convivano le due figure. Cosa non opportuna per la particolare natura dei richiedenti asilo». Mentre nei Cie si confonde tutto: «l’immigrato irregolare, la vittima della tratta, il rifugiato. Finendo così per essere, questa struttura, uno strumento sbagliato che dà risposte inefficaci».

Va prevista una nuova legge organica sul diritto di asilo che oggi non esiste , che si integri con le normative Europee, che possa tutelare tutte le persone che sono in fuga dal proprio paese. Parallelamente occorre una riforma delle politiche migratorie in Italia che dica basta «a un ingresso per sanatorie. Occorre – riprende Gualzetti – pensare a un percorso reale di entrata legato all’incrocio di domanda e offerta di lavoro”. “Ripensare alla partecipazione alla vita sociale e politica degli immigrati, alla cittadinanza. Senza dimenticare la necessaria revisione delle forme di contrasto all’immigrazione irregolare».

Il vicedirettore Caritas giudica un passo avanti l’ipotesi di una riduzione da 18 mesi di permanenza “una assurdità” a due mesi: «ma bisogna comunque superare la logica dei Cie. L’identificazione può essere fatta con forme più efficaci – per es. nelle carceri per molti degli immigrati potrebbe essere avviata la procedura di identificazione – accompagnate ad esempio da programmi di rimpatrio assistito».

E lancia infine l’allarme sulla modalità di gestione di queste strutture, anche alla luce delle notizie, trapelate in questi giorni, sull’assegnazione dell’appalto di via Corelli a un nuovo gestore: «Il discorso vale in generale per tutte le realtà di collaborazione tra istituzioni e mondo del no profit: se la logica è il massimo ribasso è chiaro che rischiamo di avere delle realtà che, per il contenimento dei costi, non sapranno o potranno tenere conto della qualità e della dignità delle persone».