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Oglr, un contributo sul progetto di riforma
del Sistema sociosanitario lombardo

Pubblichiamo un testo elaborato dall’Osservatorio Giuridico Legislativo Regionale sul Pdl 228: è stato inviato al Presidente della Regione, al Segretario Generale e agli assessori competenti per materia, ed è stato trasmesso ai Gruppi consiliari

27 Luglio 2015

Pubblichiamo un contributo a cura dell’Osservatorio Giuridico Legislativo Regionale in ordine al progetto di riforma del sistema sociosanitario lombardo: il testo – firmato dal responsabile don Lorenzo Simonelli ed elaborato dopo avere sentito la Consulta Regionale delle Opere Socio Assistenziali, la Consulta Regionale per la Pastorale della Salute e la Delegazione Caritas Regione Lombardia – è stato inviato al Presidente della Regione Lombardia, al Segretario Generale e agli assessori competenti per materia, ed è stato trasmesso ai Gruppi consiliari

1. I motivi di un interesse delle Diocesi lombarde per la riforma del Sistema Sociosanitario lombardo

Ciò che spinge le Diocesi lombarde ad interessarsi della Riforma, prima che per motivi connessi alla presenza di enti ecclesiastici e di enti civili di ispirazione o matrice cristiana impegnati nell’attività sanitaria e socio-assistenziale, è il fatto che la Chiesa ha un’originaria attenzione per l’uomo, soprattutto per colui che versa in condizioni di bisogno. Pertanto è proprio l’impegno a suo favore a spingere le comunità cristiane a esprimersi sull’attuale progetto di Riforma.

Si condividono alcune significative istanze che hanno motivato il ripensamento del Sistema (quali, ad esempio, l’esigenza di farsi carico in modo migliore della cronicità e non solo dell’acuzie e il bisogno di superare dicotomie e fatiche nel dialogo fra Sistema sanitario e Sistema socio-assistenziale per garantire continuità di cura) e s’incoraggia il cammino verso tali innovazioni.

In spirito costruttivo, desideriamo richiamare l’attenzione dei protagonisti della Riforma alla necessità che tutti coloro che hanno bisogno di assistenza (sia in ambito sanitario che sociale) possano essere accolti e accompagnati, con una effettiva “presa in carico” e in una prospettiva di welfare generativo e comunitario, capace di assumere tutti i diversi bisogni, non in una mera logica prestazionale ma anzitutto relazionale, che richiede una vicinanza del servizio, con il coinvolgimento delle famiglie e della comunità, e, quindi, una programmazione territoriale e compartecipata dai diversi attori. Pertanto qualsiasi riorganizzazione deve essere in grado di garantire il rispetto della programmazione locale dei servizi e interventi alla persona e un’agevole accessibilità ai centri di erogazione delle prestazioni (tanto nelle aree cittadine, che nelle aree periferiche).

In secondo luogo le comunità cristiane, tramite gli enti ecclesiastici, sono spesso anche direttamente impegnate nella erogazione di servizi sanitari ed assistenziali. Questo permette loro di conoscere risorse e problematiche del mondo della cura e dell’assistenza “dal di dentro”; di parlarne per concreta esperienza.

La Riforma (e la conseguente riorganizzazione) non può accrescere oltre misura gli oneri burocratici a carico dei singoli enti gestori, in quanto potrebbe comportare l’uscita degli stessi dal panorama degli enti accreditati ad erogare servizi sanitari, sociosanitari e sociali (cfr. il tema dei controlli sulla gestione degli enti gestori e il tema dell’accreditamento-contrattualizzazione) e, immediatamente, anche la riduzione della vicinanza/prossimità tra il bisogno di assistenza (persona) e i centri che erogano efficacemente questi servizi (enti accreditati).

Come noto, la comunità cristiana realizza poi plurime iniziative di accoglienza, sostegno e accompagnamento a persone e famiglie in difficoltà (centri di ascolto, dormitori, mense dei poveri, reti di mutuo aiuto familiare, ecc.), spesso ascrivibili a quella solidarietà informale e diffusa difficilmente inquadrabile in precostituiti modelli organizzativi, pena il venir meno del prezioso coinvolgimento solidaristico e di volontariato diffuso della comunità. Queste esperienze vanno valorizzate e sostenute, ma nel quadro di un sistema di collaborazione di tipo convenzionale con i Comuni semplificato e flessibile.

In terzo luogo deve assicurarsi un effettivo coinvolgimento di tutto il terzo settore e, con esso, degli enti ecclesiastici che svolgono attività sociosanitaria e socio assistenziale nella normazione a livello regionale dei servizi e degli interventi, e nella loro programmazione a livello locale.

2. I punti delicati della Riforma affinché il principio della centralità della persona rimanga effettivo e non solo ideale

a) L’integrazione tra servizi e interventi sanitari e sociosanitari e servizi e interventi sociali

Potrebbe essere opportuno precisare meglio le modalità e i livelli dell’integrazione tra ambiti sanitario e sociosanitario, da una parte, e ambito sociale, dall’altro in quanto nella nuova organizzazione data al Sistema la parte sanitaria e sociosanitaria pare prevalere su quella sociale, quasi assorbendola. Occorre invece preservare quest’ultima, che resta ancora disciplinata dalla L.r. n. 3/2008, la quale non viene abrogata e resta vigente. Occorre dunque uno sforzo di coordinamento tra tale legge e la Riforma proposta, relativamente:

– alla governance e ai livelli della programmazione, avendo cura che ci sia una coincidenza, anzitutto da un punto di vista geografico, tra programmazione sociale e programmazione socio-sanitaria, rischiando altrimenti di compromettere l’integrazione e di vanificare il livello locale della programmazione sociale affidata ai Comuni, con il prezioso apporto del terzo settore, nell’ambito dei Piani di Zona.

La prevista “cabina di regia delle ASST” non può sostituirsi nella programmazione sociale alle competenze in materia riconosciute ai Comuni esercitate tramite gli organismi del Piano di Zona, al fine di garantire l’implementazione di un welfare generativo e comunitario che, come detto, non può che realizzarsi a livello territoriale;

– all’integrazione delle prestazioni sociosanitarie e sociali, la quale deve avvenire attraverso la “presa in carico”, che consente quella valutazione multidimensionale del bisogno, assunto nella sua integralità. La Riforma dovrebbe meglio chiarire che cosa si intende con “presa in carico”, qualificandola come diritto a un accompagnamento costante della persona nella lettura del bisogno e nella risposta a esso e individuando il soggetto istituzionalmente competente a garantirlo, tenendo conto anzitutto dei servizi territoriali comunali e di ambito di Zona, quale dimensione per una effettiva “presa in carico” e per un coinvolgimento di tutte le risorse comunitarie nella prospettiva del welfare generativo;

– all’accesso ai servizi, che deve essere facilitato, senza eccessivi oneri, tanto di vicinanza geografica alla persona che di sostenibilità economica. La compartecipazione ai costi della persona e delle famiglie non deve riguardare ovviamente le prestazioni sanitarie mentre per quelle sociali deve ricordarsi l’istituzionale obbligo dei Comuni di intervenire in caso di indigenza.

b) Il ruolo della comunità e del terzo settore

Si riconosce il ruolo del terzo settore e del volontariato, ma mancano nella Riforma norme che rendano effettivo tale ruolo, chiarendo i livelli e i luoghi in cui si realizza l’apporto del terzo settore, nonché delineando in termini di obbligo il suo coinvolgimento e consultazione

Quanto agli enti gestori privati, non paiono ammissibili prescrizioni e controlli sulla loro organizzazione interna, essendo i controlli amministrativi normati, per le persone giuridiche private, dal codice civile e, per gli enti ecclesiastici, dalla legge 222/1985. Devono salvaguardarsi i loro spazi di autonomia nel rispetto del principio di sussidiarietà e, per gli enti ecclesiastici, dei principi costituzionali e concordatari di libertà e autonomia. Anche le prescrizioni e i controlli sull’attività si ritiene che non possano essere così penetranti e di dettaglio tali da rendere gli enti gestori privati dei meri esecutori di prescrizioni regionali, con aumento degli oneri burocratici e dei costi dei servizi.

Devono poi continuarsi a garantire quelle forme semplificate e flessibili di collaborazione, anche convenzionale, tra Comuni e parrocchie, con le loro Caritas e realtà collegate, per quegli interventi di accoglienza e prossimità che non possono certo essere condizionate nel loro svolgimento da prescrizioni di modalità organizzative e gestionali non compatibili con la loro natura e con la tipologia di soggetti coinvolti (gruppi Caritas, esperienze di solidarietà diffusa e informale, con volontariato singolo ancorché coordinato, reti informali di mutuo aiuto familiare, ecc.). Devono sempre ricordarsi e rispettarsi i principi costituzionali di libertà di assistenza e di sussidiarietà.

Pare non debitamente considerata la sostenibilità per gli enti del regime di accreditamento liberalizzato e non correlato al fabbisogno individuato nella programmazione, impostazione questa già adottata da Regione Lombardia peraltro con provvedimenti ritenuti illegittimi dal giudice amministrativo. In tal modo si obbligano gli enti a supportare gli ingenti costi di accreditamento ponendoli poi nell’incertezza nella stipula dei contratti, peraltro di durata annuale tale da non consentire sicuri investimenti. Su questi aspetti si auspica un maggior approfondimento e riflessione, nel dialogo con gli enti gestori.

Don Lorenzo Simonelli
Responsabile Oglr