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Ambrosini

«Milano non vuole gli stranieri, ma poi li cerca e li chiama»

Per il sociologo della facoltà di Scienze politiche dell'Università statale, la fuga degli italiani dal capoluogo lombardo e l'aumento degli immigrati sono causati da due fattori: il problema della casa e il bisogno di forza lavoro -

3 Settembre 2010

«Milano non vuole gli stranieri, ma poi li cerca e li chiama»: per Maurizio Ambrosini, sociologo della facoltà di Scienze politiche dell’Università statale, la fuga degli italiani dal capoluogo lombardo e l’aumento degli immigrati sono causati da due fattori: il problema della casa e il bisogno di forza lavoro.

«La difficoltà a trovare a prezzi decenti un appartamento costringe gli italiani a cercarla nell’hinterland, mentre gli stranieri sono più disposti ad accettare condizioni abitative precarie o fatiscenti -sottolinea il sociologo-. D’altra parte, la città ha bisogno degli immigrati, li fa lavorare, li impiega nella cura degli anziani. E qui trovano condizioni di lavoro migliori rispetto ad altre regioni italiane».

Milano con 155 nazionalità diverse è di fatto una città multietnica. «Ma chi è nelle istituzioni lancia messaggi di inimicizia verso gli stranieri, prospera sulla paura dell’immigrazione e ciò non fa altro che fomentare la chiusura dei milanesi -aggiunge Maurizio Ambrosini-. Invece di aiutare i cittadini a capire come sta cambiando la città, si gioca sulla paura della gente».

Il comune di Milano ha adottato in alcune zone (via Paolo Sarpi, via Padova, via Imbonati e Corvetto) ordinanze che prevedono, in particolare, la chiusura serale degli esercizi commerciali. «In questo modo si desertificano i quartieri -dice Maurizio Ambrosini-. Si va a colpire le attività commerciali e la vita sociale. In questo modo non si risolvono i problemi, ma si aumenta la tensione e la paura».

Il nodo da sciogliere è quello della casa. «Occorrono politiche della casa che evitino concentrazioni di stranieri in zone particolare della città -spiega il docente-. C’è il rischio di conflitti fra nazionalità diverse. Finora gli stranieri hanno dovuto arrangiarsi per trovare un alloggio a prezzi accessibili e per questo hanno occupato case, si sono rivolti ai connazionali o alla criminalità». «Milano non vuole gli stranieri, ma poi li cerca e li chiama»: per Maurizio Ambrosini, sociologo della facoltà di Scienze politiche dell’Università statale, la fuga degli italiani dal capoluogo lombardo e l’aumento degli immigrati sono causati da due fattori: il problema della casa e il bisogno di forza lavoro.«La difficoltà a trovare a prezzi decenti un appartamento costringe gli italiani a cercarla nell’hinterland, mentre gli stranieri sono più disposti ad accettare condizioni abitative precarie o fatiscenti -sottolinea il sociologo-. D’altra parte, la città ha bisogno degli immigrati, li fa lavorare, li impiega nella cura degli anziani. E qui trovano condizioni di lavoro migliori rispetto ad altre regioni italiane».Milano con 155 nazionalità diverse è di fatto una città multietnica. «Ma chi è nelle istituzioni lancia messaggi di inimicizia verso gli stranieri, prospera sulla paura dell’immigrazione e ciò non fa altro che fomentare la chiusura dei milanesi -aggiunge Maurizio Ambrosini-. Invece di aiutare i cittadini a capire come sta cambiando la città, si gioca sulla paura della gente».Il comune di Milano ha adottato in alcune zone (via Paolo Sarpi, via Padova, via Imbonati e Corvetto) ordinanze che prevedono, in particolare, la chiusura serale degli esercizi commerciali. «In questo modo si desertificano i quartieri -dice Maurizio Ambrosini-. Si va a colpire le attività commerciali e la vita sociale. In questo modo non si risolvono i problemi, ma si aumenta la tensione e la paura».Il nodo da sciogliere è quello della casa. «Occorrono politiche della casa che evitino concentrazioni di stranieri in zone particolare della città -spiega il docente-. C’è il rischio di conflitti fra nazionalità diverse. Finora gli stranieri hanno dovuto arrangiarsi per trovare un alloggio a prezzi accessibili e per questo hanno occupato case, si sono rivolti ai connazionali o alla criminalità».