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Milano

Rom di via Rubattino, «serve un progetto per il futuro»

Parla Elisabetta Cimoli, volontaria della Comunità di S. Egidio impegnata nel lavoro di integrazione delle famiglie interrotto dallo sgombero della settimana scorsa

di Silvio MENGOTTO Redazione

24 Novembre 2009

Per i 200 rom di via Rubattino si respira un’aria di preoccupazione e attesa, dopo lo sgombero di giovedì scorso che don Roberto Davanzo, direttore di Caritas Ambrosiana, ha giudicato «senza prospettive». Tra i rom sgomberati anche bambini che frequentano regolarmente la scuola. Le stesse maestre, continua don Roberto, hanno «sempre difeso questi bambini e la loro serietà nello studio, malgrado condizioni di vita assolutamente inumane». Lo sgombero «ha mortificato anche il lavoro fatto in questi mesi da diverse realtà». Tra esse la Comunità di S. Egidio. Sullo sgombero e sulle attuali prospettive abbiamo intervistato la sua rappresentante Elisabetta Cimoli.

Com’è la situazione?
Quando la polizia è arrivata al campo, un numero piuttosto limitato di persone si è allontanato immediatamente. Altre sono rimaste in via Rubattino, spostandosi sull’altro lato della strada. Donne, bambini e mariti sono rimasti insieme in attesa di una collocazione. Successivamente i rom sono stati collocati in parte in alcuni dormitori a carico del Comune, in parte nella parrocchia di Sant’Ignazio di Loyola, in qualche casa privata, presso la Casa della Carità, in parte nella comunità “Mamma bambino”.

Quali sono le prospettive?
Dopo tre giorni di richieste il Comune ha dato la possibilità a tutte le mamme con bambini di sistemarsi in comunità alloggi come “Mamma bambino”. C’è attesa di comprendere se esiste un progetto, una possibilità di sistemazione più stabile. Gli uomini non possono concepire di rimanere separati dalle donne, a maggior ragione per un lungo periodo. In concreto potrebbe esserci un percorso di inserimento abitativo, insieme a un accompagnamento di borsa lavoro e al miglioramento della conoscenza della lingua italiana, con incentivi per imparare un mestiere.

Lo sgombero di via Rubattino ripropone il grosso limite di non avere una alternativa credibile. Un fatto che chiede a tutte le realtà di volontariato di unire le proprie forze…
L’obiettivo è proprio quello di unire le forze civili del quartiere, le parrocchie che tanto hanno operato, l’associazionismo e la volontà di quelle famiglie rom – non tutte necessariamente – che vogliono radicarsi e sono disponibili a iniziare un percorso, nel desiderio innanzitutto di giungere a una continuità scolastica per i minori. Questi gli ambiti sui quali far convergere gli sforzi.

In che senso?
Questi bambini in gran parte provengono dagli sgomberi di Bovisasca e Bacula. Erano già iscritti a scuola, poi sono stati depennati e nuovamente iscritti nelle scuole del quartiere di via Rubattino. Erano ben inseriti in classe, benvoluti dai compagni, dai loro genitori e dagli insegnanti. Accanto alla prosecuzione dell’attività scolastica, non può mancare un progetto anche per i genitori: essendo persone semplici – le donne sono tutte analfabete – hanno bisogno di una motivazione per iscrivere nuovamente i figli a scuola. Dopo aver subito tanti sgomberi, il re-iscriverli richiede un progetto per il futuro.

Nello specifico che significa?
Che le famiglie abbiano la possibilità di tornare insieme. E che i bambini possano continuare la scuola a condizione di avere attorno una famiglia, non separata o incerta su che cosa succederà domani. Due cose strettamente legate. Queste famiglie hanno bisogno di comprendere una società molto diversa dalla loro. Purtroppo lo sgombero è effettivamente senza alternative e senza soluzioni. Non porta da nessuna parte, ma distrugge e peggiora la situazione, soprattutto per i più deboli. Per i 200 rom di via Rubattino si respira un’aria di preoccupazione e attesa, dopo lo sgombero di giovedì scorso che don Roberto Davanzo, direttore di Caritas Ambrosiana, ha giudicato «senza prospettive». Tra i rom sgomberati anche bambini che frequentano regolarmente la scuola. Le stesse maestre, continua don Roberto, hanno «sempre difeso questi bambini e la loro serietà nello studio, malgrado condizioni di vita assolutamente inumane». Lo sgombero «ha mortificato anche il lavoro fatto in questi mesi da diverse realtà». Tra esse la Comunità di S. Egidio. Sullo sgombero e sulle attuali prospettive abbiamo intervistato la sua rappresentante Elisabetta Cimoli.Com’è la situazione?Quando la polizia è arrivata al campo, un numero piuttosto limitato di persone si è allontanato immediatamente. Altre sono rimaste in via Rubattino, spostandosi sull’altro lato della strada. Donne, bambini e mariti sono rimasti insieme in attesa di una collocazione. Successivamente i rom sono stati collocati in parte in alcuni dormitori a carico del Comune, in parte nella parrocchia di Sant’Ignazio di Loyola, in qualche casa privata, presso la Casa della Carità, in parte nella comunità “Mamma bambino”.Quali sono le prospettive?Dopo tre giorni di richieste il Comune ha dato la possibilità a tutte le mamme con bambini di sistemarsi in comunità alloggi come “Mamma bambino”. C’è attesa di comprendere se esiste un progetto, una possibilità di sistemazione più stabile. Gli uomini non possono concepire di rimanere separati dalle donne, a maggior ragione per un lungo periodo. In concreto potrebbe esserci un percorso di inserimento abitativo, insieme a un accompagnamento di borsa lavoro e al miglioramento della conoscenza della lingua italiana, con incentivi per imparare un mestiere.Lo sgombero di via Rubattino ripropone il grosso limite di non avere una alternativa credibile. Un fatto che chiede a tutte le realtà di volontariato di unire le proprie forze…L’obiettivo è proprio quello di unire le forze civili del quartiere, le parrocchie che tanto hanno operato, l’associazionismo e la volontà di quelle famiglie rom – non tutte necessariamente – che vogliono radicarsi e sono disponibili a iniziare un percorso, nel desiderio innanzitutto di giungere a una continuità scolastica per i minori. Questi gli ambiti sui quali far convergere gli sforzi.In che senso?Questi bambini in gran parte provengono dagli sgomberi di Bovisasca e Bacula. Erano già iscritti a scuola, poi sono stati depennati e nuovamente iscritti nelle scuole del quartiere di via Rubattino. Erano ben inseriti in classe, benvoluti dai compagni, dai loro genitori e dagli insegnanti. Accanto alla prosecuzione dell’attività scolastica, non può mancare un progetto anche per i genitori: essendo persone semplici – le donne sono tutte analfabete – hanno bisogno di una motivazione per iscrivere nuovamente i figli a scuola. Dopo aver subito tanti sgomberi, il re-iscriverli richiede un progetto per il futuro.Nello specifico che significa?Che le famiglie abbiano la possibilità di tornare insieme. E che i bambini possano continuare la scuola a condizione di avere attorno una famiglia, non separata o incerta su che cosa succederà domani. Due cose strettamente legate. Queste famiglie hanno bisogno di comprendere una società molto diversa dalla loro. Purtroppo lo sgombero è effettivamente senza alternative e senza soluzioni. Non porta da nessuna parte, ma distrugge e peggiora la situazione, soprattutto per i più deboli. – – Il documento delle parrocchie (https://www.chiesadimilano.it/or/ADMI/pagine/00_PORTALE/2009/rom2.pdf)