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Intervista

«Ascoltiamo sofferenze e desiderio di futuro»

Monsignor Severino Pagani, vicario episcopale per la Pastorale giovanile e universitaria della diocesi, si interroga sul fenomeno della movida, sottolineando la necessità di andare oltre le prime apparenze

Pino NARDI Redazione

2 Maggio 2009

«La movida è un fotogramma di un film molto più lungo, a volte più serio, a volte più ricco e a volte più drammatico. Mi piace ascoltare i giovani quando la movida si ferma e parlano con lucidità, raccontano con dolore, amano con il desiderio di costruire un futuro. Per ascoltare davvero e fare qualcosa bisogna dedicare molto tempo, energie e persone». Monsignor Severino Pagani, vicario episcopale per la Pastorale giovanile e universitaria della diocesi, si interroga su un fenomeno sempre più crescente, che pone alla Chiesa, alle parrocchie, ai singoli cristiani, l’urgenza di trovare un modo per comunicare con loro, per testimoniare una qualità di vita essenziale e differente.

Migliaia di giovani e la movida. Cosa significa questo fenomeno?
Innanzitutto bisogna collocare il fenomeno giovanile contemporaneo della cosiddetta movida in un contesto più ampio in cui compaiono situazioni di vita diverse e in cui emerga un’impostazione di pensiero adulto meno scontato e debitore alla moda del momento. Prima di dare le risposte bisognerebbe trovare le domande più vere. Ci vogliono indagini e ricerche non guidate dall’attimo, dall’immagine, dall’immediatezza dell’evento emergente. Del mondo dei giovani qualcosa fa immagine, altro rimane nascosto. Mentre osserviamo a Milano lungo i Navigli e alle Colonne i giovani della movida, bisogna chiedersi anche dove sono e cosa fanno questi giovani al lunedì mattina, e lungo il tempo ordinario: cosa studiano, dove lavorano se lavorano, chi amano, per che cosa soffrono. Vogliono vivere, qualcuno che li aiuti, costringendoli con amore alle responsabilità della vita, incoraggiandoli con affetto. La movida è un bisogno che viene da queste esigenze e da questo vuoto.

Cosa vogliono i giovani oggi, solo svago?
I giovani sono diversi. Ci sono alcuni che non vogliono più, perché avrebbero voluto fin da piccoli una cultura più seria, ricca di valori e di prospettive, di progetti e di speranze. Avrebbero voluto una famiglia con un papà e una mamma affettuosi e fermi, sereni tra loro, impegnati nel far crescere i figli in un equilibrio più sano tra diritti e doveri, consumi e impegni, gratificazioni e responsabilità. Altri giovani vogliono ancora, ma questa energia del valore va ricostruita, accompagnata, irrobustita con molte responsabilità a cui gli adulti non sanno rispondere: vorrebbero forse una lettura più vera di che cos’è un uomo e una donna maturi e in pace; minore ipocrisia nella gestione dei soldi e della politica; un’università in cui siano trattati con maggiore rispetto, a partire da orari, progetti e appuntamenti disattesi, esami rimandati, lavoro sottopagato da aver vergogna a dire quanto prendono all’ora. I giovani non vogliono solo svago, vogliono qualcuno che li aiuti a irrobustire la loro volontà e a pensare senza egoismi. Non te lo dicono chiaramente, e soprattutto non te lo dicono durante la movida del sabato sera. Ma forse vogliono proprio questo nel loro cuore. Ci vuole la collaborazione di tanta gente, adulta, che non si scandalizza con disprezzo di fronte ai figli degli altri, ma che cerca le cause e apre strade nuove. I giovani non vogliono solo svago, spesso è solo quello che a loro rimane. In tutto questo bisogna dire la verità anche ai giovani; non vanno compianti, vanno tolti da ogni pigrizia, vanno amati.

Chi riesce a intercettare i giovani? Perché la Chiesa fa fatica?
Ma cosa significa intercettare i giovani? La Chiesa nella sua forma più istituzionale non riesce a intercettare i ragazzi di notte, nei bar e nelle discoteche. E forse non lo deve neanche fare. Li vedo anch’io quando salgono dal corso di Porta Ticinese al venerdì sera. Mi sono fermato qualche volta: ma non per intercettarli, piuttosto per osservarli da vicino, per riconoscerli e per aspettarli altrove. Certamente tra noi ci vorrebbe qualcuno che si fermi, ma non solo; ci vorrebbe qualcuno che li riconosca, che li aspetti: forse un vicino di casa, un compagno di università, un ragazzo, una ragazza che poi si incontra nella vita normale, con cui si può parlare con calma, in profondità. La Chiesa è fatta di cristiani: ci vorrebbero più cristiani, amici sinceri, gente che conosce Gesù e che sa interpretare le solitudini degli altri. «La movida è un fotogramma di un film molto più lungo, a volte più serio, a volte più ricco e a volte più drammatico. Mi piace ascoltare i giovani quando la movida si ferma e parlano con lucidità, raccontano con dolore, amano con il desiderio di costruire un futuro. Per ascoltare davvero e fare qualcosa bisogna dedicare molto tempo, energie e persone». Monsignor Severino Pagani, vicario episcopale per la Pastorale giovanile e universitaria della diocesi, si interroga su un fenomeno sempre più crescente, che pone alla Chiesa, alle parrocchie, ai singoli cristiani, l’urgenza di trovare un modo per comunicare con loro, per testimoniare una qualità di vita essenziale e differente.Migliaia di giovani e la movida. Cosa significa questo fenomeno?Innanzitutto bisogna collocare il fenomeno giovanile contemporaneo della cosiddetta movida in un contesto più ampio in cui compaiono situazioni di vita diverse e in cui emerga un’impostazione di pensiero adulto meno scontato e debitore alla moda del momento. Prima di dare le risposte bisognerebbe trovare le domande più vere. Ci vogliono indagini e ricerche non guidate dall’attimo, dall’immagine, dall’immediatezza dell’evento emergente. Del mondo dei giovani qualcosa fa immagine, altro rimane nascosto. Mentre osserviamo a Milano lungo i Navigli e alle Colonne i giovani della movida, bisogna chiedersi anche dove sono e cosa fanno questi giovani al lunedì mattina, e lungo il tempo ordinario: cosa studiano, dove lavorano se lavorano, chi amano, per che cosa soffrono. Vogliono vivere, qualcuno che li aiuti, costringendoli con amore alle responsabilità della vita, incoraggiandoli con affetto. La movida è un bisogno che viene da queste esigenze e da questo vuoto.Cosa vogliono i giovani oggi, solo svago?I giovani sono diversi. Ci sono alcuni che non vogliono più, perché avrebbero voluto fin da piccoli una cultura più seria, ricca di valori e di prospettive, di progetti e di speranze. Avrebbero voluto una famiglia con un papà e una mamma affettuosi e fermi, sereni tra loro, impegnati nel far crescere i figli in un equilibrio più sano tra diritti e doveri, consumi e impegni, gratificazioni e responsabilità. Altri giovani vogliono ancora, ma questa energia del valore va ricostruita, accompagnata, irrobustita con molte responsabilità a cui gli adulti non sanno rispondere: vorrebbero forse una lettura più vera di che cos’è un uomo e una donna maturi e in pace; minore ipocrisia nella gestione dei soldi e della politica; un’università in cui siano trattati con maggiore rispetto, a partire da orari, progetti e appuntamenti disattesi, esami rimandati, lavoro sottopagato da aver vergogna a dire quanto prendono all’ora. I giovani non vogliono solo svago, vogliono qualcuno che li aiuti a irrobustire la loro volontà e a pensare senza egoismi. Non te lo dicono chiaramente, e soprattutto non te lo dicono durante la movida del sabato sera. Ma forse vogliono proprio questo nel loro cuore. Ci vuole la collaborazione di tanta gente, adulta, che non si scandalizza con disprezzo di fronte ai figli degli altri, ma che cerca le cause e apre strade nuove. I giovani non vogliono solo svago, spesso è solo quello che a loro rimane. In tutto questo bisogna dire la verità anche ai giovani; non vanno compianti, vanno tolti da ogni pigrizia, vanno amati.Chi riesce a intercettare i giovani? Perché la Chiesa fa fatica?Ma cosa significa intercettare i giovani? La Chiesa nella sua forma più istituzionale non riesce a intercettare i ragazzi di notte, nei bar e nelle discoteche. E forse non lo deve neanche fare. Li vedo anch’io quando salgono dal corso di Porta Ticinese al venerdì sera. Mi sono fermato qualche volta: ma non per intercettarli, piuttosto per osservarli da vicino, per riconoscerli e per aspettarli altrove. Certamente tra noi ci vorrebbe qualcuno che si fermi, ma non solo; ci vorrebbe qualcuno che li riconosca, che li aspetti: forse un vicino di casa, un compagno di università, un ragazzo, una ragazza che poi si incontra nella vita normale, con cui si può parlare con calma, in profondità. La Chiesa è fatta di cristiani: ci vorrebbero più cristiani, amici sinceri, gente che conosce Gesù e che sa interpretare le solitudini degli altri.