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Il coraggio di don Gianpaolo: «Noi andiamo avanti»

L'11 luglio 2003 l'auto del parroco della Comasina, parcheggiata nel cortile della chiesa di San Bernardo, venne incendiata da alcuni sconosciuti. Un grave gesto intimidatorio (poi ripetutosi nel gennaio 2006) perpetrato da chi, evidentemente, si sentiva infastidito dalle attività della parrocchia. Riproponiamo l'articolo pubblicato sul settimanale "Il nostro tempo di Milano" del 20 luglio 2003

24 Ottobre 2008

24/10/2008

di Dario PALADINI

«Mentalità mafiosa» e «desolazione civile». Per don Gian Paolo Gastaldi sono questi due gli ingredienti all’origine della miscela esplosiva che ha portato all’attentato incendiario nelle prime ore di venerdì 11 luglio, quando, nel cortile della parrocchia, sconosciuti hanno dato fuoco all’auto di don Gian Paolo, di quella di sua sorella e di quella del viceparroco.

Don Gian Paolo è alla Comasina da circa 20 anni ed è parroco di San Bernardo da una decina. Conosce bene dunque la storia e le persone di questo quartiere a nord ovest di Milano. Un quartiere che è stato spesso al centro di tante cronache dei giornali, per gli scontri fra clan malavitosi, per lo spaccio di droga, per la banda Vallanzasca (anche se in realtà il bandito Vallanzasca alla Comasina aveva solo la fidanzata).

Come spesso accade, la realtà di un quartiere è molto più complessa, la vita va ben oltre la cronaca nera. E quindi la sinistra fama della Comasina non fa giustizia a chi per tanti anni ha combattuto perché un quartiere di periferia fosse più vivibile. E una di queste realtà è la parrocchia, con decine di genitori, giovani e anziani che si impegnano in una miriade di iniziative di carattere sociale ed educativo a servizio di tutto il quartiere.

Rimane però il fatto che qualcuno ha voluto punire i preti e la parrocchia con un attentato. Ed è quindi importante cercare di capire come ciò sia potuto accadere. Forse è il campanello d’allarme che segnala problemi più gravi e ampi.

A distanza di alcuni giorni dall’attentato, quale idea si è fatto delle cause che possono esserne state all’origine? Si è parlato di proteste di alcuni cittadini per il rumore causato dai bambini dell’oratorio feriale, oppure del fatto che abbiate dato fastidio a qualche spacciatore di droga…
Di una cosa sono certo. Il gesto nasce da una cultura mafiosa, ma non perché chi l’ha compiuto è mafioso, ma perché ha una mentalità mafiosa. Quindi dietro questo attentato c’è probabilmente una questione che è diversa dai riferimenti che alcuni hanno fatto alla criminalità organizzata della Comasina.

Si spieghi meglio…
Il problema che sta dietro questo fatto è grave. Questa cultura che potremmo definire violento-mafiosa spinge a compiere gesti con conseguenze più gravi di quanto siano le ragioni che li fanno scaturire. Quindi se uno mi deve dei soldi e non me li dà, lo uccido. Un altro mi offende e io lo accoltello. Ragioni futili, insomma, portano però a gesti gravi. Così penso sia accaduto nel nostro caso. L’oratorio e la parrocchia mi danno fastidio, o perché fanno troppo rumore o per altri motivi, e io brucio le auto dei preti. Il danno che provoco, però, è maggiore rispetto a quello che poteva essere la mia pretesa di giustizia. E questa cultura è alimentata anche dall’assenza delle istituzioni. C’è una completa paralisi delle forze dell’ordine e della giustizia, innanzitutto. È un fatto evidente e ha le sue gravi conseguenze, specialmente sulla microcriminalità. La gente non va neanche più a denunciare danni e furti che subisce. Sia ben chiaro, non sto criticando gli uomini delle forze dell’ordine, che anche qui in quartiere ogni giorno cercano con ogni mezzo di far fronte alle emergenze. Ma il problema è che non vengono dotati degli strumenti necessari e sono sempre troppo pochi rispetto alle esigenze. Ci troviamo in una situazione in cui mancano a livello territoriale le istituzioni: dalle forze dell’ordine, alla scuola, agli uffici comunali o sanitari. In quartiere non è possibile fare un certificato, bisogna andare in Bovisa, ma poi alla Bovisa, come è capitato a me, si trovano gli uffici chiusi per ferie e allora bisogna andare in altri distaccamenti del Comune in altri quartieri. Quel poco che c’era anni fa è stato man mano smantellato. Anche in campo sanitario: in quartiere si possono fare solo prelievi del sangue. E la popolazione del quartiere sta invecchiando. Ma come si fa a pretendere che gli anziani per qualsiasi cosa debbano prendere l’autobus e recarsi in altre parti della città?

E secondo lei questo può spiegare un attentato incendiario alle auto dei sacerdoti?
È il contesto in cui possono maturare gesti così. Di fronte alla mancanza di prevenzione, di fronte al senso di impunità, di fronte alla frustrazione che si prova quando ci si rivolge alle istituzioni per avere giustizia o un servizio quale un banale certificato, la gente è indotta a risolvere i problemi con altri mezzi. Viviamo in un contesto di desolazione civile, che è il terreno ideale in cui possono attecchire una mentalità violenta e mafiosa.

Si è parlato anche del vostro impegno contro la droga…
Il nostro lavoro è di tipo preventivo. Ed è un lavoro quotidiano, attraverso le varie iniziative educative della parrocchia, attraverso l’attenzione verso gli adolescenti. Non abbiamo fatto crociate, ma proponiamo ai giovani un progetto educativo chiaro e fermo, nel quale la droga non ha spazio. È evidente che è un lavoro che può dare fastidio, perché sottraiamo clienti potenziali agli spacciatori. Comunque noi andremo avanti, serenamente come sempre abbiamo fatto.