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Milano e lombardia

Custodi sociali, la prossimità per una città “si-cura”

Una Milano "si-cura". È nel gioco di parole il senso dell'esperienza dei custodi sociali. Ne parliamo con Massimo Minelli, presidente del Consorzio Farsi prossimo

di Pino NARDI

5 Giugno 2008

Perché avete deciso di fare l’esperienza dei custodi sociali?
Nasce proprio da una riflessione del mondo Caritas: insieme alle cooperative del Consorzio Farsi prossimo, l’esperienza dei custodi sociali, a Milano, è partita nel 1999. Nel 2002, il Comune ha deciso che era meritevole di proseguire, procedendo con gli appalti. L’attuale amministrazione ha fatto un ulteriore investimento, mettendo a disposizione molte risorse in più per arrivare capillarmente a tutte le persone bisognose, a partire dagli anziani. Con l’attenzione alla prossimità che è la logica dei custodi sociali.

Quanti sono attivi in città? 
Il Comune ha diviso l’appalto in tre lotti. Il più grande è stato appannaggio del nostro Consorzio e della Don Gnocchi; un altro è andato ai Fratelli di San Francesco e altre organizzazioni; il terzo lo ha vinto la cooperativa Nuovi orizzonti. Nel nostro lotto sono coinvolti una cinquantina di custodi. Operiamo in zona 9 (Fulvio Testi, Niguarda, Quarto Oggiaro), zona 8 e 7 (Baggio e Giambellino).

Come sta procedendo?
Come mondo Caritas puntiamo molto sugli anziani soli e abbiamo trovato nella Don Gnocchi una forte collaborazione, anche perché aveva già avviato da alcuni anni i custodi socio-sanitari con la Regione Lombardia. Recentemente un rapporto tra le istituzioni ha posto in capo al Comune la regia generale, questo ha rafforzato l’esperienza. Il fulcro è la prossimità: in una città che spersonalizza e rende tutto meno coeso, il custode sociale può essere un’ottima professione messa al servizio di quelle reti che un tempo erano naturali e ormai non ci sono più, affinché le possa riattivare per monitorare soprattutto la situazione degli anziani, ma anche delle famiglie in generale. Può rilanciare quei circoli virtuosi di relazioni in contesti difficili come le case popolari, dell’Aler, in quartieri dove la globalizzazione e l’invecchiamento degli ultimi anni hanno creato situazioni diverse.

C’è qualche caso emblematico?
Nel quartiere Niguarda-Bicocca abbiamo numerosi custodi sociali. Le case Aler un tempo erano abitate dagli operai che lavoravano alla Pirelli, che ora sono diventati anziani e non vivono più in famiglie numerose, spesso sono soli, perché i figli sono andati altrove. Oppure al loro posto vivono molti immigrati. Quindi è un contesto che in 20 anni è completamente mutato. Il custode sociale può monitorare queste situazioni, può fare in modo che il singolo cittadino abbia un riferimento e un orientamento in modo che possa essere seguito dai vari centri pubblici o del privato sociale. Questo è un valore aggiunto su cui puntiamo molto>.

Le truffe colpiscono tanti anziani. I custodi sociali possono aiutare a prevenire?
È molto utile avere una persona che ti viene a trovare e su cui rilanci le tue paure, vere in molti casi, altre frutto della solitudine. Nei casi più estremi, che non sono pochi, il custode fa da amico e quasi da parente. Allora iniziare a parlare è già un bene, dando strumenti, aiutando a ricordare i meccanismi che possono proteggere senza arrivare a diffidare di chiunque. Così si fa una sana prevenzione.

Uno dei problemi che angosciano gli anziani sono i rapporti con gli immigrati. I custodi servono da cuscinetto sociale?
Tra i custodi sociali abbiamo diverse persone straniere formate, che hanno un titolo, un’affabilità e una modalità molto attenta, perché vengono da famiglie numerose e ripongono nell’accudimento dell’anziano ciò che a loro viene spontaneo. Questo certamente può diventare una grande risorsa.