Senza di loro la città sarebbe più povera, più sola, soprattutto più affamata. Le mense che, 365 giorni all’anno, aprono le loro porte a una massa di persone – purtroppo non c’è altra definizione – grazie a tantissimi volontari, non offrono solo pane, ma anche quell’altrettanto necessario cibo per l’anima che è sentirsi accolti, rispettati, amati.
I numeri fanno impressione. Basti pensare all’Opera San Francesco per i Poveri in viale Piave, dove i Frati Minori Cappuccini hanno erogato nel 2013 858 mila pasti tra pranzi e cene, a fronte degli 827 mila del 2012. Natale, Capodanno, Ferragosto sono giorni come gli altri, magari, anzi, con qualcuno in più, specie in un tempo di crisi e di flussi migratori di rifugiati e profughi. «In agosto – nota fra Maurizio Annoni, direttore dell’Osf – abbiamo registrato una media record superiore ai 3200 pasti giornalieri (la media è 2650) a causa dell’arrivo dei profughi eritrei. L’ambulatorio, il guardaroba, le docce, insieme alla mensa, sono parte di un sistema attraverso il quale vogliamo dare accoglienza a persone la cui fragilità si esprime nella povertà, nella carenza di cibo, nella solitudine, nell’esclusione sociale. La logica che guida il nostro “metterci a servizio” è quella, come dice papa Francesco, di andare verso le periferie evitando che queste persone rimangano alla periferia del loro cuore».
Altra zona, stessa povertà. In via Saponaro 40, al Gratosoglio, sono i Fratelli di San Francesco d’Assisi che, senza mai una sosta, mettono a disposizione un’immensa tavola alla quale si sono seduti più di un milione di utenti in un anno. Ultimamente anche moltissimi italiani, specie over cinquantenni. Sabato e domenica, poi, arrivano addirittura interi gruppi familiari, soprattutto del quartiere. E la Fondazione lancia allora un grido di allarme: «Abbiamo speso, nel 2013, 250 mila euro per l’acquisto di cibo e la stima è di una crescita, per il 2014, del 30%. C’è bisogno dell’aiuto di tutti». «Le richieste sono aumentate, e continuano a farlo, soprattutto fra gli italiani, padri separati, uomini rimasti senza lavoro, ma anche pensionati», sottolinea fra Clemente Moriggi, direttore delle Opere della Fondazione.
Ancora un’altra mensa, in via Boeri, l’Opera Cardinal Ferrari, dal 1921 al servizio degli ultimi. Qui, racconta Maria Teresa Sarati, memoria storica dell’Istituto, gli ospiti possono raggiungere i 210 a pranzo (la mattina è prevista una piccola colazione per i senza dimora e reddito). «Non diamo solo cibo, ma cerchiamo di creare un’atmosfera di accoglienza e di aggregazione per i nostri amici, i “Carissimi”, come li chiamava il cardinal Ferrari. Ogni cosa aiuta e il pranzo non è un momento isolato. Le attività relazionali e ludiche della mattina e pomeridiane creano un tessuto nel quale la persona si sente accolta, apprezzata nella sua dignità inviolabile, amata».