Cercare la luce nel buio; portare le dinamiche di conciliazione anche nella vita di famiglia; arricchire la desolazione del carcere con elementi di vita; riprendere un percorso professionale dopo che la vita era segnata dal compiere «delitti per fare grandi profitti», perché la detenzione segni la fine di una vita e segni l’inizio di una nuova possibilità. È davvero arricchente ascoltare le testimonianze di quanti sono riusciti ad attivare meccanismi virtuosi durante la loro detenzione.
Cesarina Ferruzzi (ex manager ed ex detenuta di San Vittore), Ana Maris Sala (reclusa a Bollate), Erjugen Meta di Opera, Renato Tisti, Franco Uggetti, Gianpaolo Merigo, Jonathan Falcone (pluripregiudicato e ora manager di successo nel campo dell’editoria) sono stati i protagonisti dell’incontro promosso da Sesta Opera San Fedele, che si è svolto sabato 25 febbraio nella sede dell’associazione.
«Le loro storie – sottolinea Guido Chiaretti, presidente di Sesta Opera – dimostrano come, anche grazie alla collaborazione con volontari esterni, sia possibile attivare percorsi di riabilitazione in carcere, perseguendo proprio l’obiettivo della pena: riabilitare la persona e avviarla e nuovi percorsi di vita nella società».
Dall’esperienza carceraria ognuno dei testimoni ha raccolto una sfida: Ferruzzi, che sulla sua esperienza ha scritto il libro Il cielo a sbarre, è molto attiva nel sociale e ha come unico obiettivo «portare sempre il bene».
Ana Maris, che ha appena concluso il primo corso di Mediazione tra pari nel carcere di Bollate, applica le tecniche di conciliazione per parlare con sua figlia. «In carcere si litiga per nulla – ha spiegato -: un braccialetto, una parola detta male. Proprio come in famiglia, occorre capire che anche le giuste esigenze devono trovare le giuste parole». Erjugen ha aperto un laboratorio di liuteria all’interno del carcere di Opera, dove svolge laboratori di musica con gli altri detenuti. Molto toccanti le parole di Gianpaolo, uscito da una dolorosa storia professionale e familiare: fallita l’azienda, separato dalla moglie, è caduto in depressione e, finito ai domiciliari, non trovava più motivazioni nella vita.
Anche per chi ha saldato il suo debito con la giustizia, molto incerto rimane l’inserimento nella società: la mancanza di opportunità di lavoro mette a rischio il percorso intrapreso in carcere.