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Giovani

Il “Toniolo” sfata il mito
dei “bamboccioni”

In un convegno presentato il Rapporto che l’Istituto ha condotto negli ultimi mesi tra persone dai 18 ai 29 anni e che contraddice una serie di luoghi comuni relativi alle nuove generazioni

di Alessandro ZUNINO

11 Gennaio 2013

Nell’incontro dal titolo “Dalle intuizioni di Giuseppe Toniolo alle sfide di oggi: la proposta per i giovani e il Paese”, svoltosi ieri a Milano, l’Istituto “Giuseppe Toniolo” di Studi superiori ha presentato il Rapporto Giovani promosso nei mesi scorsi.

Ernesto Preziosi, direttore Pubbliche relazioni dell’Istituto, ha ricordato la figura di Toniolo, economista cattolico di cui recentemente è stata riconosciuta l’importanza nella storia del Novecento e che è stato beatificato nel 2012 (il processo era stato avviato fin dal 1933, ma solo nel 1971 Paolo VI l’aveva dichiarato “venerabile”). Oltre ad aver maturato a grande idea delle Settimane sociali, Toniolo è stato un grande promotore culturale e in questo senso ha lavorato intensamente per la creazione di un’ateneo cattolico. Il suo manuale di Economia sociale è un testo-cardine del pensiero economico sociale cristiano.

Il sociologo Alessandro Rosina ha invece presentato l’indagine da lui curata sulle nuove generazioni. Oggetto della rilevazione sono stati soprattutto i millennials, cioè i giovani nati dal 2000 in avanti. Il Rapporto evidenzia come l’Italia sia il Paese europeo con la più bassa percentuale di giovani rispetto al totale della popolazione (22.2-24.5%). In teoria, quindi, i giovani, essendo così pochi, avrebbero dovuto trovare maggiori spazi nel mondo del lavoro ed essere più protetti; in realtà è avvenuto il contrario. L’Italia, poi, è addirittura il Paese in cui maggiore è il numero dei cosiddetti neet, cioè i giovani fra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano.

Diversi i punti di forza della ricerca: l’ampio numero di giovani intervistati (9000), la “forbice” di età in cui sono stati osservati (dai 18 ai 29 anni), la combinazione con indagini qualitative sul territorio, le competenze multidisciplinari utilizzate (economia, sociologia, psicologia e demografia), la professionalità di partner di ricerca come l’Ipsos.

I risultati sono stati spesso sorprendenti e hanno permesso di raffigurare la situazione attuale in modo assolutamente realistico, abbandonando alcuni stereotipi. Dalla ricerca emerge un ritratto di giovani consapevoli e concreti, pronti a rimboccarsi le maniche, dotati di una grandissima capacità di adattamento e non propensi alla rassegnazione. Un giovane su due si adegua a un salario sensibilmente più basso rispetto a quello che considera adeguato; una quota molto alta – pari al 47% – si adatta a svolgere un’attività non coerente con il percorso di studi affrontato; solo il 20% è pienamente soddisfatto dell’impiego che svolge e il 25% poco o per nulla. Le aspettative sul lavoro rimangono alte e il posto di lavoro viene visto come luogo di impegno personale, un modo per affrontare il futuro, il modo per autorealizzarsi, lo strumento diretto a procurare reddito per costruirsi una vita familiare.

La definizione di “bamboccione” è del tutto erronea e offensiva. La maggior parte dei giovani, infatti, ha chiari e consistenti progetti di vita e la famiglia è un obiettivo considerato fondamentale: meno di un giovane su quattro si accontenterebbe di meno di due figli e quasi il 40% ne desidererebbe almeno tre (quando si parla di realizzabilità, però, diventano due). Oltre l’80% afferma che la famiglia rappresenta un solido sostegno nel perseguire i propri obiettivi. La famiglia è il punto di riferimento più importante e la maggior fonte di aiuto a fronte delle carenze del welfare pubblico: aiuta a guardare con fiducia alla vita e il 65% dei giovani afferma che l’esperienza familiare li ha aiutati a rispettare le regole.

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