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Regione

Dialogo interreligioso, in Lombardia nasce la Consulta

Istituita come organismo di consultazione e confronto, comprende esponenti delle diverse religioni. Tra i rappresentanti della Chiesa cattolica il vicario episcopale monsignor Luca Bressan: «Un frutto del cambiamento in atto nella società e nella cultura, per un territorio che sta diventando “terra delle genti”»

di Annamaria BRACCINI

26 Marzo 2024

Una Consulta attesa 35 anni. Prende avvio la Consulta regionale di Regione Lombardia «Per l’integrazione e per la Promozione del dialogo interreligioso». La delibera arrivata in Giunta prende le mosse da una legge regionale del 1989 («La Lombardia per la pace e la cooperazione allo sviluppo»), poi rivista nel 2019, con il testo che prevedeva formalmente l’istituzione di una Consulta: secondo quanto stabilito nel 2019, «è istituita presso la Giunta regionale, senza oneri a carico del bilancio regionale, la Consulta regionale per l’integrazione e la promozione del dialogo interreligioso, di seguito denominata Consulta, quale organismo di consultazione e confronto, anche con gli enti locali, in relazione all’attività della Regione negli ambiti d’intervento – già sopra citati -, nonché di studio delle tradizioni religiose e delle relazioni tra le religioni».

Della Consulta faranno parte rappresentanti di molte comunità religiose: la Chiesa cristiana cattolica, le Chiese cristiane ortodosse, cristiane protestanti, cristiane copte; comunità islamiche ed ebraiche, comunità buddhiste, induiste e sikh.

Il Vescovo delegato per l’Ecumenismo e il Dialogo della Conferenza Episcopale Lombarda, monsignor Maurizio Malvestiti, ha proposto ai Vescovi lombardi di nominare, quali delegati della Chiesa cattolica al Tavolo della Regione, monsignor Luca Bressan, vicario episcopale e presidente della Commissione diocesana Ecumenismo e Dialogo, e don Federico Celini, responsabile dell’omonimo Servizio pastorale per la Diocesi di Cremona, in carica per un quinquennio.

«Creare una sinfonia»

Monsignor Bressan, come si configura la Consulta?
Come dice già bene il nome e il titolo, è uno strumento di cui si dota Regione Lombardia. È vero che arriva in ritardo, ma allo stesso tempo è frutto del cambiamento in atto nella società e nella cultura. La Lombardia, come Milano, sta diventando una «terra delle genti» ed è giusto che si viva tutto questo in positivo – con strumenti adeguati -, per trasformare in sinfonia quel pluralismo di fedi e religioni che abita i nostri territori e che, se non è messo in comunicazione e in dialogo, rischia di diventare fonte di tensione e di scontro.

Con quale logica parteciperete alla Consulta come rappresentanti delle diverse religioni?
La Chiesa cattolica partecipa convinta, consapevole del futuro che attende a livello sia civile (in questo caso regionale), sia delle fedi. Cambiando la cultura, il cristianesimo e il cattolicesimo, ovviamente, non scompaiono, ma sono chiamati a giocare la loro identità in modo dialogico tra diverse entità.

L’obiettivo è anche di avviare sinergie tra governo del territorio e presenza delle fedi?
Sì. Lo scopo è aiutare un’istituzione, totalmente indipendente e sovrana come la Regione, nel suo compito legislativo e di governo, per quanto attiene alle questioni religiose o comunque legate, per esempio, a comparti delicati come la presenza di diverse fedi nelle carceri, negli ospedali, nelle scuole.

Gli altri componenti

La delibera regionale stabilisce che, per favorire il confronto con gli enti locali, potranno partecipare alle riunioni, pur non facendo parte della Consulta stessa, sia un rappresentante dell’Anci (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani), sia uno dell’Unione delle Province, oltre a dirigenti delle strutture regionali di volta in volta interessati in relazione agli argomenti trattati.
Su richiesta della Giunta regionale, la Consulta si esprimerà sulla «definizione e attuazione di interventi concernenti politiche di integrazione per le quali assumono particolare rilievo le pluralità di orientamento religioso in materia di servizi sociali e sociosanitari, istruzione e formazione professionale, pari opportunità e politica per la famiglia, politiche attive del lavoro».