«Non sono le tecnologie i driver del cambiamento: le tecnologie sono solo strumenti. Il cambiamento sta nell’uomo, nell’insieme dei suoi bisogni vitali, nei suoi comportamenti sociali, negli effetti educativi che i media determinano. Il cambiamento è antropologico. È l’uomo sociale a essere rimesso in discussione dai media». Lo ha detto Andrea Melodia, presidente dell’Ucsi, intervenendo ieri alla presentazione del X Rapporto Censis-Ucsi, intitolato “I media siamo noi: l’inizio dell’era biomediatica”.
Conta la qualità professionale
«Non c’è dubbio che oggi chiunque può trovarsi nella condizione di produrre contenuti, a volte anche sofisticati – ha sostenuto Melodia -, ma quello che conta è ancora la qualità professionale. Ne abbiamo bisogno nella informazione, per la quale il problema del controllo delle fonti resta centrale, ne abbiamo bisogno per le immagini, che sempre più richiedono alta definizione e significanza, ne abbiamo bisogno per il testo e la narrazione, che non possono prescindere dal rispetto delle regole». La «diffusione capillare della comunicazione mediale» porta «un incremento del bisogno di lavoro professionale e di formazione qualificata: problemi, entrambi, che si scontrano con la crisi economica e con il carattere liquido, instabile del nuovo ambiente professionale in questo settore, caratterizzato da grande precariato».
«La nostra responsabilità verso i giovani comunicatori professionali – ha sottolineato Melodia – è quella di aiutarli a ottenere la giusta remunerazione, accettabili condizioni di welfare e strumenti formativi adeguati”. Bio-mediatica, ha poi spiegato il presidente dell’Ucsi, «significa che il rapporto con i media riguarda la vita, la vita di ciascuno. Quindi se esiste una bio-mediatica deve esistere anche una bio-media-etica».
Per Melodia «è evidente l’esigenza imprescindibile di dotare una attività vitale, che consiste nel comunicare relazionandosi con gli altri attraverso i media, non tanto di un sistema di regole, ma piuttosto di un sistema il più possibile condiviso di valutazione qualitativa, basato sulla responsabilità personale». Quello che conta è «la responsabilità, unita alla competenza. Non possiamo fare a meno di pretendere che la scuola, i media stessi come strumenti di educazione permanente, e la formazione professionale focalizzino l’attenzione sulla responsabilità di tutti e di ciascuno nell’uso dei media». D’altra parte, «di responsabilità nell’uso dei media, in Italia, hanno bisogno la vita politica, il sistema della giustizia, l’istituzione familiare…». «Se vogliamo migliorare la politica e l’immagine della società italiana, credo proprio che si debba lavorare per un sistema dei media migliore di quello che abbiamo», ha concluso il presidente dell’Ucsi.
Tutelare la privacy
Prima di Melodia aveva parlato il presidente del Senato Renato Schifani, mettendo a tema del suo saluto la privacy, definita «non solo momento di tutela del singolo come persona, ma vera sfida ed emergenza collettiva». Per Schifani le sfide che si pongono per la tutela delle persone sono «la involontaria comunicazione di dati sensibili e le tecniche occulte di condizionamento della volontà. Dobbiamo – ha spiegato il presidente del Senato – essere sempre attenti a preservare i cittadini dai rischi di un affidamento imprudente inconsapevole alla comunicazione interpersonale mediante web».
«Si rende necessario assicurare che la comunicazione digitale totale e incontrollata in una società libera e democratica non alteri le condizioni della normale e ordinata vivibilità del contesto sociale». Spetta alle Istituzioni «tutelare l’integrità delle persone e della società» e a esse spetta anche «sapere individuare le soluzioni più idonee ad assicurare che questi strumenti informatici siano sempre più un veicolo per fare avanzare la condizione umana verso un’ideale perfezione materiale ed eticamente ineccepibile».
Appello raccolto da Antonello Soro, Garante per la protezione dei dati personali, che ha esortato a «trovare un sistema di regole capaci di governare i processi ineluttabili delle tecnologie». «Pezzi di noi – ha detto – sono disseminati nelle banche dati e server di grandi colossi informatici. Questo avviene ogni volta che ci registriamo come utenti nei vari siti. Il turbamento emerge nel sapere che questi nostri pezzi possono essere ricomposti in un corpo elettronico che potrebbe diventare merce di scambio di questi grandi colossi che sono punta avanzata dell’economia. Questi dati personali sono il loro obiettivo. Basti pensare che solo Facebook ne possiede 900 milioni. Avere questi dati permette di prevedere ciò che gli utenti vogliono e quindi di produrlo”» Le “enormi banche dati” in possesso dei grandi attori di internet, come i social network e motori di ricerca, «sono vulnerabili, quindi servono regole capaci di governare tali flussi». Il pericolo della criminalità cibernetica è dietro l’angolo: «Nel 2011 – ha ricordato il Garante – questo settore della criminalità ha fatturato 110 miliardi dollari». La soluzione, secondo Soro, «va trovata a livello sovranazionale. Non possiamo reggere la sfida della privacy, che è un diritto e non un costo, senza accentuare la coesione tra i vari poteri».
Sul tema è intervenuto anche il presidente del Censis, Giuseppe De Rita, per il quale «il vero pericolo non è tanto l’invasione della privacy – “ormai sanno già tutto di noi” -, quanto il fatto che coloro che possiedono i nostri dati possono calibrare prodotti ad hoc». Il presidente del Censis ha, infine, rivendicato «il diritto all’oblio su internet, ovvero il diritto a essere dimenticato e le informazioni sul nostro passato cancellate» a favore del quale si è espresso il 74,3% dei cittadini.