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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Ricordo

Zappa: «Don Alberti aveva lo spirito della locomotiva»

Il responsabile della Comunità pastorale Paolo VI, presso cui risiedeva il sacerdote scomparso: «Spingeva, stimolava, trainava in prima persona, anche coraggiosamente in anni particolarmente difficili, soprattutto per i rapporti con l’Islam». Poi il periodo della malattia, vissuta con «quella umanità che sapeva di doversi affidare al Signore»

di Annamaria BRACCINI

6 Settembre 2024
Monsignor Gianni Zappa

«Il mio ricordo e quello dell’intera Comunità pastorale Paolo VI è sicuramente carico di affetto e di riconoscenza per la sua costante disponibilità, per la sua continua attenzione, per la sua capacità di stare insieme, per il suo spirito di iniziativa nei confronti della gente e dei gruppi. E per il suo stimolo a guardare avanti e per la sua grande sensibilità nel dialogo interreligioso, che sapeva trasmettere anche tra noi. Per tutto questo la Comunità non può che essergli fortemente riconoscente»: a dare voce a questi sentimenti a poche ore dalla morte di don Giampiero Alberti, è monsignor Gianni Zappa, responsabile della Cp di cui fa parte anche la parrocchia di Santa Maria Incoronata, dove dal 2006 il sacerdote scomparso risiedeva svolgendo incarichi pastorali.  

Negli anni scorsi lei ha ricoperto diversi incarichi in Curia a livello centrale. Lo ricorda anche in quel periodo, avete collaborato?
Certamente. Don Giampiero aveva lo spirito della locomotiva, non tanto della carrozza che si lascia trainare, ma di chi vuole spingere, stimolare, trainare in prima persona, anche coraggiosamente in anni particolarmente complicati e difficili, soprattutto per i rapporti con l’Islam. Ebbene, devo dire che Giampiero anche allora non si è mai, mai perso d’animo, credendo moltissimo nella forza e nella capacità di dialogo senza mai cedere ai luoghi comuni.

Purtroppo don Alberti è stato lungamente malato. Come ha vissuto questa sua condizione? Si confidava con voi confratelli?
Era molto consapevole e ha cercato di lottare, di lottare tanto perché era legato alla vita. Credo che abbia vissuto tutte le fasi della malattia: la sorpresa, la lotta, poi la fase dell’arrendersi, anche con sofferenza e con lacrime che non nascondeva affatto. Da questo punto di vista si è dimostrato umanissimo, ma di quella umanità che sapeva di doversi affidare al Signore. E come se, a un certo punto del suo cammino e della sua storia, avesse detto al Signore «per favore chiamami», perché sentiva che era giunto il momento di sciogliere le vele. La cosa bella è che la Comunità lo ha accompagnato sempre nel tempo della malattia, standogli vicino e di questo lui è sempre stato molto riconoscente.

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