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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Yves Congar DIARIO DI UN TEOLOGO

2 Dicembre 2005

Un elegante cofanetto, da poche settimane nelle librerie, raccoglie in due volumi per oltre mille pagine le memorie conciliari di padre Yves Congar. È un’occasione propizia per assistere agli eventi del Vaticano II in presa diretta, con gli occhi di un protagonista d’eccezione che, giorno dopo giorno, ha fissato a caldo impressioni, speranze e fatiche della sua partecipazione all’assise conciliare. 

di Marco Vergottini

La biografia di Congar costituisce un “caso emblematico” della profonda e inarrestabile trasformazione del cattolicesimo a seguito dell’imprevista, eppur provvidenziale, decisione di Giovanni XXIII di convocare il Concilio. Già sul finire degli anni Trenta il domenicano francese si era distinto per l’originalità nel pensare la realtà della Chiesa e per il decisivo apporto alla causa dell’ecumenismo. Nel decennio 1946-56 sperimentò sulla sua pelle la stagione dei sospetti e le misure restrittive nei confronti della théologie nouvelle (1952) e dell’esperienza dei preti operai (1953), fino alla sua sospensione dall’insegnamento (1954). Di fronte alle tribolazioni patite da quella Chiesa che intendeva servire, senza mai indossare i panni del ribelle, ripeteva agli amici la massima di Rilke: «Bisogna pazientare fino a quando ciò che è difficile diventa assolutamente intollerabile; solo a questo punto cambia, e se è difficile fino a questo punto, significa che è vero». 

All’improvviso, nel luglio del 1960, giunse la “riabilitazione”, allorché il suo nome comparve nella lista dei teologi invitati dal Papa a preparare il Concilio. Egli fece parte di quel ristretto gruppo di esperti (fra cui il giovanissimo Joseph Ratzinger) che, oltre ai lavori in commissione, collaborarono alla redazione dei testi, coadiuvando cardinali e vescovi. Il contributo di Congar riguardò le Costituzioni sulla Chiesa e sulla rivelazione, i decreti sull’apostolato dei laici, sul ministero sacerdotale, sull’ecumenismo e la dichiarazione sulla libertà religiosa. La sua attività di studioso e ambasciatore dell’ecumenismo continuò senza sosta nei decenni successivi; promosso “teologo generale” dell’Ordine domenicano, fu fatto cardinale da Giovanni Paolo II nel 1994, pochi mesi prima della morte. 

Il pregio del Diario del Concilio – accessibile dal 2001, data in cui venne a cessare l’embargo stabilito dall’autore – sta nel restituire da vicino la dimensione quotidiana a latere dell’aula conciliare. Congar non risparmia giudizi, talora aspri, nei confronti di padri e colleghi teologi appartenenti alla minoranza conciliare e, all’opposto, non lesina un caldo apprezzamento per quanti come lui sostenevano l’istanza di un rinnovamento pastorale alla luce delle fonti della Scrittura, della tradizione dei Padri e della liturgia. Per assaporare l’avvincente racconto che fuoriesce da questo straordinario documento, basti confrontare il distaccato realismo degli inizi con lo stupore misto a gratitudine al termine del Concilio. 

Nella prefazione l’autore ricorda di aver saputo dal giornale " La Croix" della designazione sua e di padre de Lubac come membri della Commissione teologica preparatoria. Il legittimo compiacimento lascia subito posto alle perplessità sull’intera operazione: «Indubbiamente questa nomina ci riabilita presso l’opinione pubblica, almeno nelle sfere ufficiali, perché i gruppi veramente vivi e attivi non hanno mai prestato fede alle ripetute voci di discredito arrivate da Roma»; tuttavia, prosegue in modo disincantato, «l’averci nominati consultori è stato un mezzo per tenerci ai margini del vero lavoro, che sarà svolto dai membri della Commissione. Praticamente, mi vedo già fuori… La situazione si va delineando in senso nettamente romano. È Roma che fa le nomine, e si salva la coscienza e la reputazione ampliando il ventaglio dei nomi, ma solo perché ha già preso le sue precauzioni, e le ha prese in modo efficace, per evitare ogni pericolo. De Lubac e io siamo stati nominati per essere messi in mostra…». 

Il 7 dicembre 1965, ultimo giorno del Concilio, così Congar traccia un bilancio della sua esperienza: «Guardando oggettivamente le cose, ho lavorato molto per preparare il Concilio, per elaborare e diffondere le idee che il Concilio ha consacrato. Anche durante il Concilio ho lavorato molto. […] Ho sempre ritenuto che non occorresse impadronirsi di alcunché, ma contentarsi di ciò che ci è dato. È questo, per ognuno, il proprio sacrificio spirituale, la via della propria santificazione. Ho dunque preso ciò che mi è stato dato, mi sono sforzato di fare bene (?) quello che mi veniva chiesto. Ho preso poche iniziative, troppo poche, credo. Dio mi ha colmato. Mi ha dato a profusione, infinitamente al di là di meriti rigorosamente inesistenti».