«Non siamo autorizzati a essere tristi, come coloro che non hanno speranza, noi che abbiamo ricevuto la rivelazione che Gesù è stato risuscitato e che, perciò, tutti coloro che lo seguono avranno parte alla sua risurrezione».
Nel giorno in cui si ricorda chi non c’è più, spesso con i soli sentimenti del dolore, della rassegnazione e dell’angoscia, l’invito che viene dall’Arcivescovo è di aprirsi alla speranza e a uno sguardo fiducioso su un domani non più oscuro.
Nella commemorazione di tutti i defunti che presiede in Cattedrale, ultima celebrazione pubblica del 2 novembre, è questo il messaggio, ma sarebbe meglio dire l’auspicio, che il vescovo Mario rivolge ai fedeli riuniti in Duomo, a tutti coloro che sono collegati da remoto e, idealmente, all’intera Diocesi: essere testimoni della risurrezione e, perciò, capaci di inquietare e di suscitare domande.
Infatti, «per il Signore che ci attira a sé, parlandoci con la sua vita e il suo insegnamento», prosegue, «possiamo passare dall’ignoranza alla speranza che guarda al futuro, non con l’apprensione di quello che succederà, ma con la fiducia di chi è certo che Dio è il Salvatore. Noi non soltanto siamo confortati da questa rivelazione, ma abbiamo la missione, l’incarico, il compito irrinunciabile di essere, per tutti coloro che incontriamo, strumenti dell’istruzione di Dio, rivelando l’attrattiva delle verità buone e profonde che interrogano il cuore umano. Occorre imparare dal Signore Gesù e che diventi lui il principio di Sapienza. Questo abbiamo da offrire: l’attrattiva del vero e la docilità dei discepoli e questo vorremmo dire alla città, alla gente che incontriamo, non solo oggi, in cui ricordiamo i nostri morti, ma tutti i giorni in cui abbiamo bisogno di imparare a vivere».
Parole, queste, che – concludendo l’omelia nella Messa di suffragio concelebrata di Canonici del Capitolo Metropolitano e a cui prendono parte, tra gli altri, i membri dell’Arciconfraternita del Santissimo Sacramento del Duomo – sono come il sugello di quei sentimenti di «ricordo grato, sofferto, pieno di affetto e di speranza» con cui la Chiesa di Milano ha vissuto questi giorni, pieni anche di domande, magari, rimaste senza risposte autentiche.
La riflessione dell’Arcivescovo
«Di fronte alle grandi tragedie, si sente spesso: “Perché succedono queste cose? Perché Dio permette questa morte, questa malattia, questo disastro?” Ma questo perché non è una domanda che aspetta una risposta, è soltanto una protesta, un modo per dire che non siamo d’accordo e siamo arrabbiato con Dio», osserva l’Arcivescovo.
Interrogativi, invece, che chiederebbero una risposta come ottengono sempre le piccole domande di ogni giorno. Quelle del “quanto costa? Dove si compra? Dove conviene andare in vacanza? Quale scuola mi promette lavoro?”». Al contrario, le vere domande sembrano proibite, «quasi come fossero di cattivo gusto». «Proibite dalla persuasione che non ci sia nessuno che meriti di essere ascoltato: i sapienti per una ragione, i preti per un’altra, gli adulti perché non sanno neppure loro che cosa dire. Abolite le grandi domande, la gente si rassegna ad essere triste».
Ma è proprio qui, «nel deserto delle domande, che Dio non si rassegna a lasciare i suoi figli nella tristezza e nell’ignoranza. Dio si fa presente come quel roveto ardente che sveglia Mosè dall’inerzia e dall’indifferenza verso il suo popolo; si fa presente per inquietare e provocare alla speranza. Dio istruisce tutti, e sveglia l’attrattiva: la manifestazione di Gesù tocca nell’intimo le persone, trafigge il cuore e convince a volgere lo sguardo a Colui che hanno trafitto. Dio sa che il cuore di ogni uomo e di ogni donna non ospita soltanto le banalità del quotidiano, che non c’è solo la trepidazione per sé e per i propri cari, non c’è solo l’inclinazione a perdersi nel divertimento. C’è la persuasione che non siamo fatti per la tristezza, ma per la gioia e, per questo, il dono della gioia è desiderato». Non solo, ma anche cercato «in un itinerario di attrazione che si intravvede promettente perché Dio sa cosa c’è nel profondo del cuore: le tenebre che invocano la luce e, così, ci aiuta ad aprirci alla verità di Gesù anche a riguardo di coloro che sono morti». Ma come? Chiara la risposta: «Dio istruisce con la sapienza, parla in modo da essere ascoltato, si lascia conoscere attraverso Colui che ha mandato. La Sapienza è la storia di Cristo e il suo esito: Gesù morto e risorto è principio di vita nuova».