L’aveva pensata e voluta fin dai giorni del suo ingresso solenne nella nostra diocesi, il 6 gennaio 1955, e, infatti, esattamente un anno dopo, Giovanni Battista Montini, nel Solenne Pontificale dell’Epifania in Duomo, annunciava la grande Missione di Milano.
Missione profetica, audace, «ma non impossibile», riconosceva il Pastore venuto dalla diplomazia, che non si sentiva certo chiuso in una fortezza assediata, ma che aveva compreso subito quanto «agli ambrosiani non occorresse insegnare a fare i soldi, ma a pregare bene». Perché se il mondo – ripeteva – «sembra ogni giorno meno sensibile al religioso, esistono anche non pochi lontani, pensosi e solleciti», ai quali – come ad altri – doveva arrivare l’invito, allora per nulla scontato, ad ascoltare la Parola di Dio.
«Faremo, per la Città di Milano, le sacre missioni. Le faremo, a Dio piacendo, nell’Avvento dell’anno venturo, 1957. Le faremo simultaneamente per le centodieci parrocchie della nostra città», scandì l’Arcivescovo iniziando il suo secondo anno di episcopato ambrosiano e indicando la necessità di «mettere in cammino i nostri animi», quali «cercatori di Cristo». Espressione insieme antica e modernissima, che spiega anche la scelta del tema, teologico più che morale, particolarmente utile a significare la necessità di riconsegnare, a ognuno, «la lucida consapevolezza della verità fondamentale, quella di Dio nostro Padre».
E Missione fu, dunque, dal 4 al 24 novembre 1957, con lo slogan «Venite alla missione e ascoltate che Dio è Padre: nulla di più». «Un’ora felice che passa su la Città e che impegna la responsabilità», per usare parole montiniane, il più grande esperimento del genere nella Chiesa cattolica, secondo monsignor Pignedoli – Ausiliare e presidente del Comitato esecutivo appositamente costituito -, mentre Oltralpe, sinteticamente, il popolare Paris-Match intitolava Mission-monstre.
E, d’altra parte, basta scorrere anche solo i “numeri” per rendersi conto di uno sforzo al quale guardare ancora oggi con ammirazione: diciotto mesi di preparazione, 1288 predicatori e confessori mobilitati, tra cui i cardinali Siri e Lercaro, ventiquattro Arcivescovi e Vescovi, voci scomode e comunque invitate, come Mazzolari o Turoldo, laici come Lazzati, senza dimenticare gli «emozionatissimi» seminaristi di Venegono – ricorda uno di loro – «chiamati a predicare alla “Missione dei ragazzi” nelle Elementari».
In totale si conteranno quindicimila tra conferenze e incontri, come aveva auspicato Montini nell’annuncio ufficiale autografo, interessantissimo perché ricco di molte notazioni, del 24 settembre, lo stesso giorno in cui, in tre parrocchie diverse, egli aveva parlato della Missione. «Si aprano le Chiese, le Sale, le case, i cortili, le officine gli uffici, le caserme, gli ospedali – scriveva -, dovunque si lavora, si pensa, si soffre».
Furono, allora, centinaia di migliaia le persone raggiunte anche per categorie professionali – diciotto per la precisione -, dai tranvieri alle indossatrici, dai professionisti, i laureati e gli artisti alle infermiere e le domestiche, dai professori universitari ai gestori di bar e locali, dai magistrati ai carcerati. E poi i manifesti, bellissimi e firmati da nomi famosi, affissi allora e ora un cult del collezionismo; l’Arcivescovo che parla ogni sera via radio, dal 17 al 24 novembre, là dove si sarebbero svolte le singole predicazioni e, a conclusione, il grandioso Te Deum in Piazza Duomo davanti a 20 mila milanesi, il 24 novembre, con un radiomessaggio di Pio XII di oltre 15 minuti, diffuso anche in tutte le parrocchie. Infine il grande pellegrinaggio diocesano di ringraziamento a Lourdes, dal 26 giugno al 1 luglio 1958.
E se furono centocinquanta gli enti e le fabbriche visitate, occorre dire che il primo e più entusiasta “missionario” fu proprio Montini, che varcò personalmente 32 cancelli, entrando all’Alfa Romeo e in Rai, alla Banca Commerciale e al Deposito Atm, fino alla Gazzetta dello Sport.
Certo, fu una scommessa vinta, pur non mancando ombre e, inutile tacerlo, resistenze anche sul fronte ecclesiale – Montini stesso, nel Sinodo minore del 1960, notò che «il momento di fervore religioso» suscitato dalla Missione non aveva avuto «il seguito positivo che ci saremmo aspettato…» -, ma piace pensare che quel nobilissimo «perdonateci, se non vi abbiamo compreso», rivolto ai “lontani” il 7 novembre, dica per intero quanto l’episcopato montiniano sia stato laboratorio fondante dell’intera, futura, Missio ad gentes di Paolo VI. Quella simboleggiata, in terra ambrosiana, dallo stendardo bianco con 127 stelle ricamate in oro – tante erano ormai le parrocchie della città – che sventolava tra le mani della Madonnina, nella fredda, ma luminosa domenica 24 novembre 1957.