Se c’è una parola che condensa i due anni travolgenti della vita della Chiesa che abbiamo alle nostre spalle, non può che essere “sorpresa”. Ciascun credente, ma immaginiamo anche una moltitudine di non credenti, porta inciso nel cuore un ricordo, un gesto, una parola di quel pastore preso «quasi alla fine del mondo». Ciascuno in queste ore, pur involontariamente, ritornerà a quel 13 marzo 2013, quando dalla loggia di San Pietro vide stagliarsi la figura del nuovo Papa. Francesco si presentò al mondo con un «Fratelli e sorelle, buonasera!». Un muro di secoli, una distanza incolmabile, crollarono in un attimo, con un semplice «buonasera!». E cominciò così il suo «cammino: vescovo e popolo».
E subito dopo un’altra grande sorpresa, quella che lascia un segno indelebile nel cuore dell’uomo di comunicazione. Il Papa si rivolge alla piazza: «E adesso vorrei dare la Benedizione, ma prima – prima, vi chiedo un favore: prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo, chiedendo la Benedizione per il suo Vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me». Un silenzio assordante scese sulla piazza, mentre il Papa si inchinava profondamente per ricevere la benedizione del popolo. La piazza tremò, capì e ammutolì. In quel gesto, la promessa di un futuro sorprendente.
Sono trascorsi due anni dall’elezione di Jorge Mario Bergoglio, l’argentino di origine italiana che con i suoi spavaldi 78 anni ha riscaldato i cuori e rimesso in moto le energie della Chiesa. Eppure, ogni giorno, sia per chi partecipa profondamente alla vita della Chiesa sia per chi è talvolta solo uno spettatore distratto, la “sorpresa” di Francesco è sempre in agguato. C’è chi ricorda le sue sorprendenti e spiazzanti chiacchierate con i giornalisti durante i lunghi viaggi in aereo per raggiungere continenti lontani. C’è chi tiene a memoria alcune sue formidabili espressioni, forti di una carica comunicativa popolare («chi sono io per giudicare?»). Chi non dimentica il fotogramma di un abbraccio speciale. Chi non riesce a staccarsi di dosso la sua espressione imbronciata. Chi ha persino un pizzico di timore per i suoi modi spicci e diretti che spiazzano. Quando evoca il pugno per «chi offende la mia mamma», o invita gli uomini di Chiesa a spogliarsi delle vesti sontuose e dei merletti.
Ma non c’è da aver paura. Piuttosto è utile accogliere la “sorpresa” che lo accompagna e lo rende amatissimo al popolo cristiano. E magari, per tornare a sorprendersi, rileggere con più attenzione la sua Evangelii Gaudium e interrogarsi una volta di più, se ancora non lo abbiamo fatto, sul senso profondo di una «Chiesa povera e per i poveri». Non un sogno, per lui, ma una speranza fondata sui gesti e sulle scelte di donne e uomini di fede pura. Donne e uomini in cammino con il Pastore e con i Pastori. Con i quali provano a condividere questo tempo di grazia. E di “sorpresa” che il buon Dio ci ha voluto donare.
Non è questo, né il momento, né il luogo per tracciare bilanci di questi due anni di pontificato (sarebbe un’autentica impresa, difficile persino da abbozzare), ma di sicuro avvertiamo il calore del popolo cristiano e la simpatia anche dei lontani nei confronti di Francesco. Per quello che lui è, senza mediazioni e sovrastrutture. In un mondo globale privo di riferimenti certi, Francesco appare una certezza, una roccia incrollabile per i più deboli e per i più poveri. È un bene? Noi ne siamo convinti. Anche quando si fa protagonista di memorabili partite diplomatiche (guerra in Siria e disgelo Usa-Cuba), lui è sempre e solo Francesco. Per tutto questo va sinceramente ringraziato. E senza esagerare nei toni, perché lui è un uomo sobrio e rigoroso.
Noi italiani, che di Pietro e di Francesco godiamo una vicinanza tutta speciale, abbiamo una speranza in più. Dal 9 al 13 novembre la Chiesa italiana celebrerà a Firenze il suo quinto Convegno ecclesiale nazionale su “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”. Papa Francesco vorrà donarci una sorpresa? La speriamo, l’attendiamo, la desideriamo.