Erano iniziati un anno fa gli eventi celebrativi in memoria del cardinale Giovanni Colombo e del suo triplice anniversario. Il 2013 ha segnato infatti i 110 anni dalla sua nascita, i 20 dalla morte e i 50 dalla nomina ad Arcivescovo di Milano. Con il Pontificale in Duomo del 20 ottobre, nella solennità della Dedicazione, l’arcivescovo Angelo Scola chiuderà l’Anno Colombiano che nelle diverse occasioni ha visto la presenza di tanti fedeli ambrosiani. Ne parliamo con monsignor Gianni Zappa, presidente del Comitato organizzativo.
Qual è il suo primo bilancio sull’Anno Colombiano?
Il bilancio, più che essere uno sguardo al passato dell’anno, è un bilancio di apertura, perché ha permesso, a chi non lo conosceva, di conoscere la figura del cardinale Giovanni Colombo e, agli altri, di recuperarne il suo messaggio, ma soprattutto di riscoprirne la forza e lo spessore.
In effetti durante gli eventi e le celebrazioni nel corso dell’anno diverse “voci” hanno tratteggiato la figura di Colombo…
Leggere l’opera del cardinale Colombo a 50 anni di distanza dalla sua nomina e dal suo ingresso da Arcivescovo di Milano, e a più di 30 dalla conclusione del suo servizio alla Diocesi, ha permesso di guardare a lui con occhi più attenti e capaci di cogliere la complessità e la ricchezza di questa figura. Non dimentichiamo che il grande merito del cardinale Colombo è stato quello di essere una persona di grande equilibrio in un momento storico molto travagliato e difficile come è stato il periodo del ’68 e degli anni ’70. È stato anche l’Arcivescovo che ha portato, fatto conoscere e iniziato a vivere nella Diocesi di Milano lo spirito del Concilio Vaticano II, che peraltro aveva vissuto da protagonista.
Quale eredità lascia ancora oggi alla Chiesa ambrosiana?
Del cardinale Colombo bisogna imparare a raccogliere soprattutto la dote della prudenza e dell’equilibrio. È un Arcivescovo che non si è lasciato travolgere dalle emozioni del momento, ma è stato capace di aiutare la sua Diocesi a guardare le situazioni con quello sguardo profondo che non si limita al presente, ma sa andare oltre. Un altro merito del cardinale Colombo è stato quello di aprire la strada all’episcopato del cardinale Martini.
Colombo si è dedicato molto allo studio e all’insegnamento in Seminario. Quale consiglio darebbe ai preti e ai seminaristi della Diocesi di Milano?
Leggere la propria vocazione e l’esercizio del proprio ministero sacerdotale sempre nel contesto della Chiesa, quindi del sentirsi parte della vita della Diocesi, che ovviamente è più grande di quelli che possono essere i nostri pensieri e le nostre aspirazioni, perché il sacerdote vive un esercizio concreto di sequela per condividere la missione del Signore Gesù. E questo avviene nella Chiesa.