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Riflessione

«Una rete di protezione per le famiglie, non lasciarle sole»

Dopo i tragici fatti di cronaca che si sono verificati nell’ultima settimana in Brianza urgente recuperare il “senso”. Monsignor Garascia e il sociologo Aldo Bonomi: «Ritornare a dialogare per potersi riconoscere, anche nella sofferenza»

di Francesca LOZITO

19 Febbraio 2014

Non sono solo nomi in un articolo di cronaca. Nomi che si chiamano “per nome”, come se fossero quelli della porta accanto. Perché erano “lontani” dalla comunità e soli, i protagonisti dei tragici fatti di cronaca che da una settimana a questa parte hanno visto come filo conduttore il loro teatro, la Brianza. Ed erano prima di tutto persone. Il padre che ha ucciso due bambini (suo figlio e il figlio dell’ex moglie), il figlio che si è accanito sui genitori. E il ragazzino che si è tolto la vita oggi. A Paina di Giussano e a Veduggio.

Tragedie della famiglia per cui il vicario episcopale della Zona V (Monza) monsignor Patrizio Garascia dice che prima di tutto «occorre esprimere vicinanza. Alle famiglie e alle comunità coinvolte. E farlo prima di tutto con la preghiera».

Secondo il vicario episcopale, la riflessione «porta anzitutto a guardare con gli occhi della fede quello che è accaduto. Guardando a Gesù e allo sguardo che lui ha su tali fatti, dobbiamo comprendere che il Signore accoglie queste vittime, è vicino a queste famiglie e ci chiede davvero di operare perché queste cose non accadano più. Ci chiama, inoltre, a stare vicino alle famiglie coinvolte con la forza che viene dalla fede e da quella solidarietà tipica che da essa nasce».

«C’è un grande lavoro da fare per riscoprire il significato della famiglia e la bellezza della vita familiare – prosegue monsignor Garascia – . Vanno riscoperti i rapporti, gli affetti e tutto quello che compone la vita familiare. Credo che all’interno delle famiglie sia importante parlarsi di più, dialogare, perché quello che vedo, accostando le famiglie in occasione degli incontri per la cresima o nei Consigli pastorali, è l’incapacità di raccontarsi la vita. Per le famiglie cristiane vuol dire, inoltre, preghiera, lettura insieme della Parola di Dio e quindi formazione a un cammino cristiano nelle comunità. L’emergenza educativa è emergenza a ricomprendere il senso della famiglia, aprendosi alla comunità e al mondo. Proponendo anche all’interno delle famiglie alcune esperienze di solidarietà, di attenzione, di apertura al vicinato. Infine – conclude – occorre riprendere le alleanze educative tra la famiglia, la parrocchia e la scuola».

Sarebbe troppo facile leggere questi accadimenti con gli occhi spietati di una Brianza tutta “suv e disamore”, in cui solo il denaro è alla base delle relazioni sociali. Oppure, all’opposto, trincerarsi in una immutata operosità di questi territori, dediti alla triade lavoro-cultura-risparmio. Per il sociologo Aldo Bonomi occorre porsi in un’altra prospettiva: «Premesso che non ci sono analisi in grado di spiegare gesti estremi come quelli accaduti – afferma -, tutti e tre rientrano in quella “guerra civile molecolare” che si sta consumando nel contesto delle forme di convivenza. E quindi della famiglia». Una crisi di senso che Bonomi definisce dell’«anomia”»: «Non si è più capaci di trasformare i processi di cambiamento in valori condivisi». E così si genera rancore. paradossalmente «a partire da quella che Zygmunt Bauman chiama la voglia di comunità. Perché? Perché si è sopraffatti dalla paura e dall’incertezza. Ma esiste ancora, anche in Brianza, una comunità di cura, fatta di volontariato, associazioni e parrocchie. E resiste ancora anche la comunità operosa».

Cosa deve accadere perché le trame tornino a congiungersi? «La comunità operosa e la comunità di cura devono prendere per mano la comunità rancorosa – conclude Bonomi -. Solo così può nascere quella comunità del destino, dove riconoscersi e riconoscere. Anche la sofferenza dell’altro. Sia materiale che di senso».