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Una pregustazione della vita nella città senza morte, lutto, lamento e affannoGERUSALEMME È IL MIO SOGNO

5 Maggio 2005

di Gianfranco Ravasi,
Prefetto della Biblioteca Ambrosiana

Era la sera del 12 luglio 1959. Da Amman, attraversando il deserto e il fiume Giordano, padre Carlo Maria Martini giungeva a Gerusalemme e l’indomani, nel settimo anniversario della sua prima Messa, alle quattro del mattino, celebrava l’Eucaristia al S. Sepolcro.

«Fu proprio in quel momento che ebbi una folgorazione sulla risurrezione di Cristo», ha confessato. Quell’incontro con la Città Santa fu una sorta di inizio assoluto nella vita del Cardinale perché – è ancora lui a dichiararlo – è stato come il «ricevere un’appartenenza che era un dono dall’alto», una celebrazione del primato della grazia divina.

E’ per questo che Gerusalemme è “in principio” nella biografia spirituale di Martini. Le altre due città della sua esistenza sono segni di una risposta: Roma è la sede dell’esperienza intellettuale nella ricerca attraverso lo studio e l’insegnamento all’Università Gregoriana, mentre Milano è il luogo dell’esperienza della carità, del ministero, della relazione con gli altri, della dedizione pastorale.

Ma alla sorgente c’è sempre Gerusalemme come simbolo di grazia, come espressione della «dimensione mistico-contemplativa di tutto ciò che noi riceviamo come puro dono di Dio, da cui ci sentiamo amati senza nostro merito e perdonati gratuitamente».

Queste parole che il cardinal Martini ha pronunziato, proprio sullo scorcio del suo ministero episcopale a Milano, in una lunga riflessione affidata alle pagine di Famiglia Cristiana fanno comprendere come la Città Santa delle tre religioni monoteistiche sia stata la stella polare del suo itinerario personale.

E’ curioso ricordare che il 15 settembre 1980, pochi mesi dopo il suo ingresso a Milano, egli tenesse a Roma, in occasione della XXVI Settimana Biblica, una splendida prolusione su «Gerusalemme: storia, mistero, profezia». Ebbene, in quel testo si configurava in modo nitido l’intreccio di valori che la città incarna, il suo essere realtà storica e segno spirituale, la sua drammaticità e la sua gloria.

Martini ricordava allora un famoso testo rabbinico che così dichiarava: «Dieci porzioni di bellezza sono state accordate al mondo dal Creatore, e Gerusalemme ne ha ricevute nove. Dieci porzioni di scienza sono state accordate al mondo dal Creatore, e Gerusalemme ne ha ricevute nove. Dieci porzioni di sofferenza sono state accordate al mondo dal Creatore e Gerusalemme ne ha ricevute nove!».

Gioia e dolore, speranza e desolazione si mescolano in quella città in modo inscindibile. Anzi, la storia in Sion è più pesante che nel resto del mondo : «E’ una città – diceva il Cardinale in un’altra occasione – in cui le emozioni sono sempre forti, le persuasioni vivaci e intense, le contrapposizioni, anche solo verbali, molto esplicite».

E’, dunque, una città della verità, eppure nel suo nome si cela il rimando alla parola shalom, “pace”. Proprio per questo Martini ha partecipato spesso agli incontri di dialogo interreligioso tenuti a Gerusalemme, nella convinzione che la verità più accesa e settoriale possa essere trasfigurata dalla carità e dalla pace.

In questa luce si comprende perché nella stessa Bibbia la Città Santa sia striata dal male, dal sangue e dall’idolatria, ma sia anche il modello della Gerusalemme nuova cantata dall’Apocalisse.

Affermava ancora il Cardinale: «Già la speculazione rabbinica sull’apparente duale del nome Jerushalajim rifletteva sulla città duale nello spazio e nel tempo: Gerusalemme terrestre – Gerusalemme celeste, Gerusalemme di adesso – Gerusalemme di poi».

Si delinea, così, il sogno o meglio la profezia di questa città. Essa non ci fa decollare dalla realtà storica verso cieli mitici e mistici, bensì ci àncora al presente costringendoci a impegnarci nella giustizia e nell’amore, ma, al tempo stesso, ci fa sperare nella salvezza, nella grazia, nella liberazione piena.

E’ per questo che se – come si è detto – Gerusalemme è alla radice della vicenda personale di Martini, ne è anche l’approdo ultimo. Egli nella testimonianza apparsa sul numero pasquale di Famiglia Cristiana, a cui si è già accennato, ha descritto il progetto di studi ma anche l’articolazione della sua giornata gerosolimitana, sia pure attraverso una presenza oscillante con Roma, in una sorta di pellegrinaggio permanente.

Tuttavia, Gerusalemme è per lui soprattutto una meta sognata di silenzio, di solitudine, di preghiera. La fraternità con le altre due religioni, l’Islam e soprattutto l’ebraismo nostra «radice santa», vivrà il suo apice nella contemplazione di Dio e in particolare nell’incontro col Cristo risorto.

«In ogni giorno del mio soggiorno a Gerusalemme – ha confessato il Cardinale – vorrei partecipare alla processione dei Francescani nel S. Sepolcro, in una specie di rimemorazione della passione, morte e risurrezione di Gesù».

E’ proprio così che la residenza in una città pur affascinante si trasforma in “sogno”, cioè in una pregustazione della vita nella città senza morte, lutto, lamento, affanno, ove tutte le realtà sono nuove e ogni lacrima è cancellata, la città della nostra speranza e dell’intimità con Dio (Apocalisse 21,4-5).