L’Arcivescovo ricorda che «il senso della politica sta qui: nel creare tutte le condizioni che rendano possibile esser persona in pienezza, che non tradiscano la persona, che ne ricollochino la dignità e il valore al centro della moderna civiltà». Ma scegliendo come tema per il Discorso di quest’anno la periferia della città l’Arcivescovo non vuole svolgere una ulteriore analisi sociologica di tale realtà magari inseguendo l’attualità: legge in chiave simbolica la periferia e afferma: se la città ha un cuore e una identità non ci sono più periferie.
di Giuseppe Grampa
Il discorso del cardinal Tettamanzi, la vigilia della festa di sant’Ambrogio, è discorso alla città, discorso alla polis (il termine greco di città) e quindi è discorso politico. E qualche valutazione politica si rintraccia anche nel Discorso di quest’anno dedicato alla periferia della città.
Quando, per esempio il Cardinale riconosce che «non pochi sforzi sono stati fatti dalle istituzioni, dalle aggregazioni sociali, dalle comunità parrocchiali e dalle varie realtà di Chiesa e da tante persone generose per vincere la dequalificazione urbana, la non bellezza di interi quartieri, la mancanza di servizi sociali e culturali e di relazioni umane: sono sforzi da continuare con decisione e fiducia».
E ancora al termine l’Arcivescovo ricorda che «il senso della politica sta qui: nel creare tutte le condizioni che rendano possibile esser persona in pienezza, che non tradiscano la persona, che ne ricollochino la dignità e il valore al centro della moderna civiltà». Ma scegliendo come tema per il Discorso di quest’anno la periferia della città l’Arcivescovo non vuole svolgere una ulteriore analisi sociologica di tale realtà magari inseguendo l’attualità: legge in chiave simbolica la periferia e afferma: se la città ha un cuore e una identità non ci sono più periferie.
Ascoltando il Discorso mi è venuta alla memoria quella singolare scena evangelica: Gesù che piange per la sua città, per Gerusalemme. Ho sentito nelle parole dell’Arcivescovo come un’eco dell’accorata condivisione della vita della città che ha suscitato in Gesù il pianto.
E ancora ho risentito l’eco di un discorso di Giorgio La Pira, sindaco di Firenze che nel 1954 così diceva: «Le città hanno una vita propria, hanno un loro proprio essere misterioso e profondo: hanno un loro volto, hanno per così dire una loro anima ed un loro destino: non sono cumuli occasionali di pietra: sono misteriose abitazioni di uomini e più ancora, in certo modo, misteriose abitazioni di Dio: Gloria Domini in te videbitur. Non per nulla il porto finale della navigazione storica degli uomini mostra, sulla riva dell’eternità le strutture quadrate e le mura preziose di una città beata: della città di Dio».
La Pira coglie con lucidità il nesso tra persona e città: «Non è forse vero che la persona umana si radica nella città come l’albero nel suolo? Che essa si radica negli elementi essenziali di cui la città consta: e cioè, nel tempio per la sua unione con Dio e per la vita di preghiera; nella casa per la sua vita di famiglia; nell’officina, per la sua vita di lavoro; nella scuola, per la sua vita intellettiva, nell’ospedale, per la sua vita fisica?» (Discorso ai sindaci, 1955).
Le parole di La Pira ci invitano a cercare l’anima della nostra città. A questo ci invita il discorso di questa vigilia santambrosiana. Qual è l’anima di Milano? O è vero che Milano ha tutto, le manca solo l’anima?
Il Cardinale sembra condividere questa diagnosi quando si domanda: «Può morire l’anima della città e con lei morire la città? Sì, questo è possibile». E questo avviene quando non si riconosce più la comune appartenenza alla medesima condizione umana, e più ancora quando si smarrisce la propria umanità.
In questo processo di progressivo allontanamento dagli altri non più riconosciuti “prossimo” e da se stessi, dalla propria interiorità, dalla propria coscienza si consuma la perdita dell’anima della città, si crea quella periferia che è distanza, solitudine, separatezza…
Solo ritrovando il cuore della città che non è tanto un luogo geografico, il centrocittà e i suoi quartieri eleganti, ma è una trama di relazioni si impedisce il nascere di periferie che sono tutti gli spazi della solitudine, dell’emarginazione e dell’estraneità.
Una forte sfida alla politica conclude questo Discorso: se l’anima della città nasce da una intensa interiorità «c’è da chiedersi allora: quale modello di città consente l’interiorità, quale modello di società non la tradisce, quale cultura la incontra, quale economia non la distrugge, quale politica non la avvelena?».
Riconosciamolo: interrogativi questi che non stanno abitualmente nell’agenda della vita politica. L’Arcivescovo con chiarezza e coraggio li ha sollevati, per amore di questa città.