Il cardinale Martini e il suo rapporto con i preti tra prospettive teologiche, esperienze, cura pastorale e i ricordi, oggi, di chi gli fu accanto. Questa è stata l’annuale Giornata di studi interdisciplinare promossa dal Seminario arcivescovile. A Venegono si sono ritrovati in tanti per riflettere e ascoltare le testimonianze e gli interventi che hanno approfondito il tema. A partire dall’introduzione di don Franco Manzi, direttore della Sezione parallela della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, e dalle analisi delle Agende di segreteria, il cui contenuto è stato delineato – con qualche rivelazione – da don Virginio Pontiggia, dal 1990 al 1996 segretario del Cardinale.
«I presbiteri formano col Vescovo un solo corpo, un tutt’uno, e il clero si può considerare il braccio destro del Vescovo stesso», spiega subito Pontiggia, che nota: «Il cardinale Martini ha dedicato moltissimo tempo al colloquio con i sacerdoti, così come ne ha dedicato al Seminario attraverso incontri personali e comunitari concretizzati nei Decanati e nelle Zone». E questo fin dal suo ingresso in Diocesi, nelle varie Zone pastorali, nel 1980, poi, nel 1981-’82 nei Decanati, e, ancora, dal febbraio 1987 al marzo 1988, senza dimenticare gli incontri all’interno delle Visite pastorali nelle singole parrocchie e quelli formalizzati nell’Anno santambrosiano, o in occasioni particolari come la conclusione della I Visita pastorale nel 1997-1998, le Giornate sacerdotali del 1983 o la partecipazione ai pellegrinaggi presbiterali in Terra Santa, a Lisieux, a Santiago di Compostela… E, ancora, l’incontro con i nuovi parroci e con i preti giovani dell’Ismi, nei ritiri delle “Tre giorni di spiritualità”, o con i nove Corsi di Esercizi spirituali rivolti ai preti diocesani.
Ma naturalmente, oltre ai confronti rivolti a più preti o pubblici, c’è la grande quantità – lungo oltre 22 anni di episcopato ambrosiano – degli incontri personali di Martini con il clero affidatogli, «la cui efficacia dipendeva da una duplice serie di motivi: in primis, il fatto che non potessero essere scissi dagli incontri comunitari e, in secondo luogo, il fecondo e buon legame con i collaboratori più stretti». Un modo specifico martiniano di esercitare il ministero del Vescovo: basti pensare che solo nel 1991 furono 290 i preti ricevuti in episcopio per un colloquio privato. «Ogni settimana c’era una mattina dedicata alle udienze: dapprima fu il lunedì, poi si passò al martedì. Questi incontri avvenivano su richiesta e su appuntamento con la segreteria. Il Cardinale era di un riserbo assoluto. Come segretario – racconta don Pontiggia -, mi aveva fatto preparare una scheda nominale per ciascun prete che sarebbe venuto in giornata dove venivano segnate solo osservazioni esteriori, mentre le annotazioni più riservate, il Cardinale, già allora, le poneva all’interno di un’agenda elettronica con una sua password personale, che teneva sempre con sé».
Da qui la visione complessiva della via privilegiata individuata da Martini, «quella dell’aiuto alla comune crescita spirituale, cercando di “volare alto” e, tuttavia, volendo esercitare la sua paternità non solo attraverso le indicazioni pastorali, ma anche attraverso una crescita comune nella fede e nell’ascolto della Parola». Consapevole, come fu sempre, «che il confronto pastorale, da solo, non sarebbe bastato per formare un presbiterio unito e un clero profondamente animato dalla fede, dalla dedizione al Signore e alla Chiesa».
Parte invece dall’icona biblica del Discorso di Mileto, richiamato da Martini nell’ultimo anno del suo episcopato ambrosiano, don Marco Paleari, che definisce “La visione del prete nel presbiterio diocesano, a partire dalle omelie della Messa Crismale”. «L’annuncio del senso del ministero, per Martini, viene “dalla” e “nella” sua vita, quindi a partire dal suo stile, che era caratterizzato da alcune originalità, come annunciare la fine del suo episcopato milanese con anticipo ed estendere, a livello ecclesiale, ciò che lui stesso, a livello spirituale e personale, stava approfondendo, quasi come fosse una verifica del proprio essere e del proprio servire». Ogni prete dovrebbe trovarsi coinvolto nell’esperienza di fede che il Vescovo sta vivendo, scriveva d’altra parte Martini negli anni Ottanta: «La fede del prete assume le caratteristiche della fede di un Pastore: tutto va dalla fede alla fede, da quella del Pastore alla comunità ecclesiale». E tutto con un ancoraggio certo, la Scrittura che «suggerisce non solo le forme del ministero, ma la natura stessa del ministero ordinato, perché la Parola annuncia il Regno, tocca i cuori, convoca il popolo». Per questo, l’Arcivescovo pensava che «una parte importante della vita sacerdotale dovesse essere data alla Lectio divina col Vescovo, come pure alla preghiera come criterio anch’essa di discernimento. L’attività ministeriale è essenzialmente comunionale e trova la sua radice nell’eucaristia, l’essere associati a Gesù Cristo. La liturgia come preghiera comunitaria è via, dunque, di corresponsabilità».
Perché, per usare ancora le parole del Cardinale nel 2002, «la posta in gioco è alta, si tratta di regalare al nostro tempo il segno autentico della Chiesa. Il Signore ci chiede di essere uomini che si aprono a orizzonti grandi e che cercano con lucidità e passione di capire sempre meglio il senso e i modi del ministero oggi a Milano».
Infine, il ricordo di monsignor Franco Brovelli, responsabile dell’Ismi dal 1986 al 1995 e poi anche della Formazione permanente del clero dal 1995 al 2002: «L’attenzione di Martini non era un preoccuparsi del curriculum vitae, ma un comprendere cosa accadesse “dentro” quel presbitero, specie quando i problemi si facevano gravi e complessi». Una comunicazione intensa, quindi, con un presbiterio difficile, almeno dal punto di vista numerico: «Non scelse la delega, cercò di entrare in relazione personale, ricercando anche il suo modo, strada facendo, di essere vescovo. Questo voleva dire costruire relazioni solide, consapevoli di un cammino percorso insieme, presbiterio e Pastore».
Tanto che nel 1990, dopo il primo viaggio, particolarmente riuscito, ad Assisi con i preti giovani, il Cardinale si convinse di proseguire negli anni successivi. «Ecco, questo lo facciamo così, anche gli anni prossimi», disse con semplicità a don Brovelli. «Ciò è esattamente la custodia dell’orizzonte condiviso che ci faceva “respirare”. Nelle situazioni di crisi di alcuni preti, Martini si è sempre giocato di persona, tentando di capire le radici delle difficoltà individuali, scendendo in profondità. Ciò voleva dire “stare vicino”, mai fermarsi alla superficialità, “voler bene”, senza pretendere soluzioni immediate e certe, ma vedendo giorno per giorno, cosa si poteva fare. Questo è appunto lo stile delle relazioni intense, perché ci si sente accolti, capiti e non giudicati». E, infine, il sigillo dell’incontro: «Non era un uomo distante, anzi era “dentro” il cuore delle cose e delle persone, con una paternità “umile”, ma resistente, che non dimenticava nessuno»