Percorrere strade insolite, al di fuori dei grandi circuiti turistici, privilegiando piccoli alberghi e guide del posto, senza dimenticare di conoscere progetti di sviluppo delle comunità locali. Questo e molto altro sono i viaggi responsabili. Ne abbiamo parlato con Umberto Di Maria, vice presidente dell’Associazione italiana turismo responsabile.
di Stefania Cecchetti
Turismo responsabile, questo sconosciuto. I viaggiatori dei pacchetti “all inclusive” forse non sanno nemmeno di cosa stiamo parlando. Ma anche tra gli operatori del settore il problema di una definizione è stato a lungo dibattuto. Sul sito dell’Aitr, Associazione italiana turismo responsabile, si legge che «il turismo responsabile è il turismo attuato secondo principi di giustizia sociale ed economica e nel pieno rispetto dell’ambiente e delle culture. Riconosce la centralità della comunità locale ospitante e il suo diritto ad essere protagonista nello sviluppo turistico sostenibile e socialmente responsabile del proprio territorio. Opera favorendo la positiva interazione tra industria del turismo, comunità locali e viaggiatori».
In pratica cosa significa? Significa progettare un viaggio (magari affidandosi a una delle sette agenzie attive in questo campo in Italia, vedi box) prevedendo di visitare luoghi interessanti ma esclusi dai circuiti del turismo di massa; privilegiare piccoli alberghi e sistemazioni locali alle grandi catene alberghiere; usare mezzi di trasporto come treni e bus, e anche per i voli interni aerei di linea; farsi accompagnare da guide turistiche del posto; visitare e finanziare con gran parte della quota del viaggio progetti di sviluppo delle comunità locali.
«Il turismo responsabile – spiega Umberto Di Maria, fino alla fine di giugno vice presidente dell’Aitr – non è una meta in particolare, ma un atteggiamento trasversale sul turismo nel suo complesso. Al centro, non c’è la soddisfazione del viaggiatore ma lo sviluppo della comunità ospitante. Il viaggio risulta più genuino, molto diverso da quelli preconfezionati a cui siamo abituati e così, alla fine, si raggiunge anche lo scopo “collaterale” di soddisfare le attese del viaggiatore».
Ecco perché, secondo Di Maria è scorretto parlare di “turismo di nicchia”: «Il concetto di nicchia è una definizione di mercato, ma nel nostro settore, proprio perché è l’ospitante e non l’ospite il centro del nostro interesse, non esistono indagini di marketing per sondare i desideri dei clienti. Certo, si tratta ancora di un turismo per pochi, lo definirei un turismo dai numeri “omeopatici”. Ogni anno non sono più di 4000-5000 le persone che partono per un viaggio alternativo organizzato. Sono numeri da prendere con le pinze, come in generale tutte le cifre attinenti a un settore eterogeneo come quello turistico. Ma sicuramente a queste vanno aggiunte le tante persone che intraprendono un viaggio fai da te cercando, magari inconsciamente, di evitare gli impatti devastanti del turismo di massa e ispirandosi agli stessi principi di responsabilità che animano gli operatori di viaggi consapevoli».
Del resto concetti come “impatto del turismo”, “comunità locali”, “responsabilità del viaggiatore” sono ormai entrati nel linguaggio comune e già questo dà una idea della piccola rivoluzione silenziosa che il turismo responsabile ha già da anni messo in atto.
Non esiste un identikit nazionale del turista responsabile tipo. Soltanto la cooperativa Viaggi Solidali di Torino ha fatto indagini statistiche sui propri viaggiatori (sono visibili sul sito). «In generale – spiega Umberto Di Maria – si può dire che si tratta per lo più di persone che hanno già iniziato a rendere più consapevole il proprio comportamento di acquisto. Di solito conoscono già il mondo dell’economia solidale: dal commercio equo, ai gruppi di acquisto alla finanza etica. Nella maggior parte dei casi si tratta di donne. E poi, naturalmente, devono potersi permettere un viaggio impegnativo quindi si tratta quasi sempre di adulti lavoratori. Gli studenti sono pochi».
Tra i turisti tradizionali, invece, c’è più curiosità che resistenza verso la proposta alternativa dei viaggi solidali: «Forse c’è più richiesta potenziale di quella che il settore potrebbe realmente soddisfare – sostiene Di Maria -. Anche se quelli che si informano sono molti meno di quelli che poi effettivamente decidono di partire».
Non resta che provare, allora. Un consiglio di viaggio per chi si appresta a progettare una vacanza del genere? «Portarsi dietro molto spirito di adattamento», conclude Umberto di Maria.