Venerdì 4 ottobre sarà un anno dalla morte di don Giovanni Barbareschi. Così vogliamo ricordarlo. Martedì 1, alle 18 una targa sarà scoperta a Milano al civico 24 di via Eustachi, dove abitava la famiglia Barbareschi. Lo stesso giorno, alle 21, nella chiesa di San Giovanni in Laterano (piazza Bernini), una serata di memoria con cori alpini, un video con parole e immagini di don Giovanni e tre testimonianze affidate ad Anna Scavuzzo (Vicesindaco di Milano), Valerio Onida (già Presidente della Corte costituzionale) e Vito Mancuso (teologo). Tre voci per raccontare l’educatore scout, l’uomo “ribelle” per amore della libertà e infine il prete. Infine la sera del 4 ottobre, alle 18, nella chiesa di San PioV (via Lattanzio), una celebrazione eucaristica di suffragio e di ringraziamento.
La memoria di don Giovanni è anche affidata a un volume edito proprio in questi giorni. Chi scrive queste righe e ha curato il volume lo ha fatto perché non andasse dispersa la singolare ricchezza di questa testimonianza civile e religiosa. E il libro ripercorre l’intero arco, 97 anni, di una esistenza appassionata. Dagli anni in cui, dodicenne, si vantava con suo padre di partecipare alla messa domenicale inquadrato nei Balilla, e il papà gli diceva: “Quella messa non vale niente perché non eravate liberi, ma intruppati». Comincia così il cammino verso la libertà che sarà l’anima di tutta la vita. E poi la scelta di entrare nella Resistenza: anni segnati da diverse carcerazioni a San Vittore, da torture, dalle iniziative clandestine per salvare molti ebrei… Nel libro è lo stesso don Giovanni a raccontare «i giorni del rischio».
Dopo il 25 aprile 1945 la passione di don Giovanni per la libertà non ha più la forma della lotta rischiosa e non-violenta; diviene impegno educativo rivolto soprattutto ai giovani. Vinto il regime fascista, don Giovanni teme che la mentalità fascista continui a inquinare le coscienze. Per più di mezzo secolo non smetterà di inquietarle, di suscitare spirito critico. Ricordo gli incontri con gli studenti del Collegio universitario San Paolo, nell’edificio nel quale don Giovanni abitava nel quartiere milanese di Brera. Ricordo il silenzio che le sue parole creavano, l’emozione della sua testimonianza. È stato così anche nelle aule del Liceo Manzoni, come attestano diverse voci di studenti affascinati da quell’indimenticabile docente di religione. Nel libro ritroviamo queste voci, così come quelle degli universitari della Fuci, degli scout che hanno camminato con lui, dei tanti ospiti della Casa alpina di Motta. In tutti questi luoghi don Giovanni è stato grande educatore con la forza della parola e il calore dell’amicizia.
Un’ultima stagione della sua vita Barbareschi l’ha interamente dedicata alla nostra Chiesa milanese, con una particolare dedicazione ai preti. L’Istituto diocesano per il sostentamento del clero ha avuto in lui non solo un amministratore competente, ma soprattutto un prete attento alle necessità dei suoi confratelli. Ma credo che il servizio più delicato e prezioso che don Giovanni ha svolto per incarico del cardinale Martini sia stato quello di accompagnare quei preti che, incerti sulla loro scelta di vita, chiedevano il suo aiuto per decifrare il groviglio della loro vocazione.
L’ultima parte raccoglie alcuni scritti di don Giovanni. Si tratta di materiali diversi: predicazioni tenute in occasione di Esercizi spirituali, conversazioni e meditazioni, sussidi per favorire la riflessione personale… Alcuni di questi testi sono chiaramente datati, ma in tutti riaffiorano i grandi temi cari a don Giovanni: il primato della persona e l’appello alla coscienza come luogo di scelta e quindi di libertà e ancora l’amore umano in particolare nella vita di coppia. Forse la lunga esperienza come Giudice del tribunale ecclesiastico regionale lombardo, organismo che affronta l’eventuale nullità del vincolo coniugale, rendeva don Giovanni sensibile alla qualità della relazione interpersonale uomo-donna e alle sue fatiche. Di qui la sua preoccupazione per una educazione alla vita affettiva, alla gestione della corporeità.
Avvicinandosi all’ultima stagione della sua esistenza don Giovanni riflette sull’andare verso l’Eterno – così chiama la vecchiaia -, ben consapevole delle fatiche che l’accompagnano, ma insieme dei suoi frutti di sapienza e di serenità. Questa serenità non lo ha mai lasciato, fino alla fine.