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Tra emancipazione e liberazione QUANDO LA DONNA VUOLE IMITARE L’UOMO È PEGGIO DI LUI

9 Ottobre 2007

Negli anni Ottanta realizzazione professionale era la parola d’ordine per le donne. Oggi le giovani si sono accorte che la carriera viene pagata col sacrificio della vita privata. Sono sempre di più quelle che preferiscono trovare una forma di mediazione, come il lavoro a tempo parziale, piuttosto che buttarsi sulla professione tout court. Anche perché, finita l’epoca della parità a tutti i costi, ci si è resi conto che essere uomini e donne, diversi nella reciprocità, può essere un valore.

di Silvia Vegetti Finzi

Due parole segnano la storia del progresso femminile: emancipazione e liberazione. L’emancipazione comincia subito dopo la guerra, quando risulta chiaro a tutti che le donne devono avere, rispetto agli uomini, non solo pari doveri, ma pari diritti. Una decisiva conseguenza è il nuovo statuto di famiglia nel 1975: viene meno la patria potestà e si attribuisce a entrambi i coniugi la stessa potestà.

Questo ha aiutato molto donne a uscire dalla minorità del passato. Ma non basta. Il tentativo di essere come gli uomini ci ha di fatto svantaggiato, perché continuiamo ad avere compiti esclusivamente femminili (la maternità, la crescita dei figli, la cura della famiglia) che ci impegnano più degli uomini.

Così, accanto al movimento di emancipazione di tipo egualitario, è sorto un movimento chiamato “di liberazione”, che sottolineava la differenza. Le donne differiscono dagli uomini nell’immaginario, nella razionalità, nel modo stesso di parlare, nella modalità di relazionarsi agli altri, perché sono molto più attente ai rapporti personali, alla rete dei legami familiari. Competenti in sentimenti, ci definiscono i sociologi.

Questi compiti esclusivamente o prevalentemente femminili devono interrogarci sulla nostra specificità, sulla differenza uomo-donna che è un valore e non un’inferiorità. Essere uomini e essere donne nella reciprocità, nello scambio, nel progettare orizzonti comuni, portando ognuno competenze diverse, è una conquista, non una perdita.

E questo ha portato anche una diversa moralità femminile, tema su cui ho riflettuto molto: l’uomo è più sensibile ai valori astratti, formali, mentre noi siamo più sensibili alle persone e alla vita; ma i valori astratti e formali devono entrare a contatto con il vissuto e farsi prassi di prossimità.

Nella storia dell’emancipazione femminile incontriamo donne giunte al potere agendo come gli uomini, e magari peggio di loro. Penso per esempio alla signora Thatcher e alla sua riforma molto dura, attenta solo ai fattori economici, con indubbi vantaggi finanziari per l’Inghilterra, ma con costi gravati sulle classi più deboli. La giustizia distributiva mi sembra tipicamente femminile: la mamma col mestolo distribuiva la minestra e chi era più debole riceveva di più.

Quando la donna adotta invece un’etica maschile forse lo fa con ancor maggiore intransigenza. Nel lavoro, quando la donna vuol imitare l’uomo è peggiore di lui, èancor meno sensibile rispetto ai bisogni dei subalterni. Non mi interessa che le donne vadano avanti a tutti costi, smarrendo la loro femminilità. Quello che cerco da tanti anni è che cosa la donna può portare, la sua differenza, uno stile diverso di gestione del potere.

Negli anni Ottanta abbiamo avuto una sorta di sbornia per la realizzazione personale. Oggi le giovani si sono accorte che il successo professionale viene pagato col sacrificio della vita privata. Si fa presto a dichiarare: riesco a essere al tempo stesso madre e manager; ma se si è oneste le difficoltà e i conflitti ci sono. E quindi ci sono sempre più giovani donne che preferiscono trovare una forma di mediazione: il lavoro a tempo parziale, piuttosto che buttarsi sulla professione a scapito della vita privata.

Nessuna vuol fare la casalinga, le donne sanno che la loro realizzazione passa anche dal lavoro: ma sono molto più prudenti di un tempo, non vogliono pagare, né far pagare ai figli costi troppo alti. Certo, gli uomini, i mariti possono fare molto, per esempio assumendosi i compiti familiari, cosa ancora pochissimo praticata. Gli uomini danno una mano, aiutano e poi “staccano”, mentre le donne – che hanno il compito di tener insieme la famiglia – non “staccano” mai. Non sono capaci di pensare solo al lavoro quando lavorano e solo alla famiglia quando sono a casa.

La condizione femminile è una continua ardua mediazione tra richieste tutte molto importanti. Un aiuto può venire dalla solidarietà femminile, ancora molto scarsa. In questi anni le famiglie si sono chiuse a riccio sui loro problemi e bisogni, mentre è importantissimo il tentativo di metterle “in rete”. Vale anche per le donne quello che diceva Brecht: «Ma voi, di grazia, non vogliate sdegnarvi, ogni uomo ha bisogno dell’aiuto degli altri».