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9 Ottobre 2007

MILANO AVRÀ UNA RISCOSSA MORALE, ETICO POLITICA PROFONDA, METTENDO AL CENTRO PERSONA, BENE COMUNE, CITTADINANZA ATTIVA, GIUSTIZIA SOCIALE E DISTRIBUTIVA?

Di fronte a una città di disuguali, la cultura e la politica non possono sfuggire. Sono chiamate a dare una risposta. A ripensare il ruolo del pubblico che non sia invasivo e mortificante dell’iniziativa privata, ma nemmeno subalterno alle pressioni degli interessi dei gruppi economico-finanziari.

A immaginare le condizioni minime di coesione sociale, che garantiscano le fasce deboli e riducano entro limiti tollerabili le emarginazioni a riguardo di casa, lavoro, servizi, opportunità di formazione e di crescita culturale, non certo in un’ottica assistenziale. A elaborare percorsi di integrazione in termini di responsabilità collettiva, e non di ipocrita delega ai tanti Buoni Samaritani del privato sociale, perché tanto si sa che questi non lasciano disperati per strada e si fanno carico delle emergenze cui toccherebbe al pubblico di provvedere.

Si potrà non nutrire rimpianti per la Milano socialdemocratica e intonare per essa un requiem in sintonia con i mutamenti storici, se Milano avrà una riscossa morale, etico politica profonda, che riconsideri cioè il modo di stare assieme, mettendo al centro la persona, il bene comune, la cittadinanza attiva, la giustizia sociale e distributiva: tutti i valori, insomma, posti a cardine della convivenza nella Costituzione, quella Carta fondamentale, che proprio a Milano e in Lombardia ha avuto parte vitale delle sue radici. Si ricordi il pensiero e le elaborazioni di un Lazzati e di un Dossetti (agli esordi professore alla Cattolica), all’azione di un Enrico Falck e di quei molti che, di fedi diverse, parteciparono alla lotta di Liberazione, e alla Ricostruzione morale e civile prima che economica.

Non sarebbe tollerabile, invece, una situazione che stravolgesse i valori personalistici e comunitari contenuti nella prima parte della Costituzione, appunto, che proprio in una recente iniziativa l’Ambrosianeum ha voluto rimettere al centro della riflessione, organizzando una serie di incontri sui Grandi Testimoni del Novecento (che si ha l’intenzione di far proseguire l’anno prossimo con un secondo ciclo) nella preoccupazione di «tramandare» i contenuti e i fondamenti che restano, nella loro pienezza, pur nella consapevolezza che le situazioni cambiano.

Ma senza memoria il futuro è cieco e muto. Ricorrendo a una terminologia propria di quei Maestri, alla maniera cioè dei Maritain e dei Mounier, si renderebbe necessaria un’opposizione decisa a una situazione che vedesse il crearsi di condizioni che favorissero il sopravvento dell’«avere» sull’«essere», l’ideologia delle cose in cui tutto si confonde e dove ogni cosa è uguale all’altra senza distinzioni e scale di giudizio, della materialità e dell’indifferenza alle scelte, dell’individualismo che prevale sul mix imprescindibile di soggettività e di condivisione dei destini comuni.

Una tale direzione, che ovviamente nessuno si augura, andrebbe contrastata con fermezza e determinazione, perché segnerebbe il disfacimento di Milano.

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