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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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OTTOBRE MISSIONARIO

Sulle strade del mondo
con il coraggio di osare

Siamo invitati a fare memoria del “Mandatum Novum” di Nostro Signore, nella consapevolezza che dobbiamo uscire “fuori le mura” delle nostre comunità, per raggiungere le periferie, le frontiere, tutto ciò che è distante da noi, non solo fisicamente, ma anche a livello esistenziale

di Giulio Albanese Agenzia Sir

30 Settembre 2013

“Esorto i missionari e le missionarie, specialmente i presbiteri fidei donum e i laici, a vivere con gioia il loro prezioso servizio nelle Chiese a cui sono inviati, e a portare la loro gioia e la loro esperienza alle Chiese da cui provengono”.  Queste parole di papa Francesco, in occasione della Giornata missionaria mondiale 2013 (Gmm), illuminano cuore e mente e trovano un’efficace sintesi nello slogan scelto da Missio (Organismo pastorale della Cei) per l’intero mese missionario di ottobre: “Sulle strade del mondo”.

Ecco che allora siamo invitati a fare memoria del “Mandatum Novum” di Nostro Signore, nella consapevolezza che dobbiamo uscire “fuori le mura” delle nostre comunità, per raggiungere le periferie, le frontiere, tutto ciò che è distante da noi, non solo fisicamente, ma anche a livello esistenziale. Si tratta in sostanza di operare un decentramento nel nostro “modus vivendi”, a fianco dei poveri, degli ultimi, nei bassifondi dove sono relegati. Essere credenti, infatti, significa assunzione delle proprie responsabilità rispetto alla conversione del cuore, al bene condiviso, alla pace, alla giustizia, alla riconciliazione, al rispetto del creato.

A parte quelle terre dove si combattono guerre a tutto campo – dalla Siria all’Iraq, dalla Somalia alla regione sudanese del Darfur, dalla Repubblica Centrafricana all’ex Zaire – o le grandi baraccopoli latinoamericane, asiatiche o africane, vi sono degli areopaghi esistenziali che vanno oltre la categoria geografica. Basti pensare alla crisi dei mercati che ha penalizzato un numero indicibile di persone, a cui è negato il lavoro e dunque, come ha detto recentemente papa Bergoglio a Cagliari,  la dignità della persona umana “creata a immagine somiglianza di Dio”.

Inutile nasconderselo, se la dimensione religiosa viene spesso  percepita, nella nostra società globalizzata, come qualcosa di accessorio se non addirittura alienante è perché non abbiamo compreso che il perimetro della speranza non può coincidere con quello delle sacrestie, ma abbraccia il mondo intero. Papa Francesco che viene dalla “fine del mondo”, come i nostri missionari, ha il coraggio di osare: è convinto più che mai dell’urgenza di rendere intelligibile il Vangelo, rinunciando agli orpelli delle corti medievali. È così che ci piace immaginarci missionari e con questo spirito vogliamo festeggiare l’Ottobre missionario.

Da una parte, c’è il nostro dovere di annunciare e testimoniare la Buona Notizia, mentre dall’altra può manifestarsi l’adesione o il rifiuto di qualsivoglia interlocutore. Ciascuno alle prese con la più problematica delle saggezze: il dubbio. Qui non discutiamo affatto sulle verità rivelate, ma sulle modalità che perseguiamo nell’affermarle. Quante volte, ammettiamolo, le nostre promesse si sono dissolte come fossero bolle di sapone o i nostri gesti hanno offuscato il mistero dell’amore. Ecco che allora, accanto ai valori manomessi dalla Storia, si evince sempre più il bisogno di realizzare un radicale rinnovamento del nostro modo di vivere la missione.

Al di là delle più sante intenzioni, come peraltro ha stigmatizzato, in più circostanze, Papa Bergoglio, la missione non può ridursi ad un insieme di “cose da fare” o in un’organizzazione umanitaria molto efficiente, ma a volte poco credibile dal punto di vista testimoniale. Non sarà, pertanto, il fascino delle opere, né le promesse di sviluppo e di progresso, ciò che evangelizza, ma la fede del discepolo, in periferia, a fianco dei poveri.

A noi il compito di comprendere le provocazioni a tutto campo del Vescovo di Roma, in un mondo che ha fame e sete di Dio. A pensarci bene, con i suoi gesti e le sue parole, egli ci sta provocando, ricordandoci che l’orizzonte assoluto sotto cui pensare le verità rivelate non può ridursi alla dottrina “tout court”. Esse devono tornare ad essere evidenti, dunque comprensibili, nel vissuto delle nostre comunità. Perché il cristianesimo, è bene rammentarlo, rimane, sempre e comunque, un’esperienza che cambia la vita.