È scomparso nella notte tra sabato 29 e domenica 30 aprile, nel reparto che ospita i preti anziani alla Sacra Famiglia di Cesano Boscone, mons. Giorgio Caniato all’età di 95 anni. I funerali saranno celebrati mercoledì 3 maggio alle 9 presso la chiesa della Sacra Famiglia: li presiederà monsignor Erminio De Scalzi, Vescovo ausiliare emerito.
Originario di Milano, don Giorgio aveva iniziato il suo ministero come prete dell’oratorio, prima a Casoretto e poi a Sant’Eustorgio. A soli 27 anni è diventato anche cappellano al carcere di San Vittore, ma aveva dovuto aspettare l’arrivo in Diocesi di mons. Montini, perché il cardinal Schuster lo considerava troppo giovane per quel delicato incarico.
Dai racconti e dalla conoscenza dell’allora cappellano monsignor Cesare Curioni (in seguito ispettore generale delle carceri italiane), don Giorgio si era lasciato affascinare da quel ministero così particolare rivolto alle persone recluse.
Un ruolo che fin dal 1955 ha svolto con passione, determinazione e severità. La lunga esperienza (42 anni) nell’istituto di pena di San Vittore, nel cuore di Milano, lo porterà, nel 1997, ad assumere l’incarico di ispettore dei cappellani, con nomina da parte della Cei, e a trasferirsi a Roma. Un impegno che lascerà solo a 83 anni, con tanto di lettera di ringraziamento verso tutti coloro con cui ha collaborato nei decenni.
Mons. Caniato si è dedicato per oltre mezzo secolo alle persone che avevano commesso reati, ma di una cosa si era convinto: «Il carcere è una struttura anti-umana e anti-cristiana». Se da un lato toglie la libertà, dall’altra nega anche «i diritti inalienabili e fondamentali». E aggiungeva: «È vero che l’uomo è condannato alla pena del carcere perché ha commesso dei reati e anche gravi e ripugnanti, ma tuttavia rimane uomo e persona». Quindi insisteva nel dire che «il carcere dovrebbe restare l’estrema ratio per chi non volesse riparare, restituire, ricostruire e volesse continuare a delinquere e quindi non volesse cambiare vita».
Nel 2000, in qualità di ispettore generale, mons. Caniato ha partecipato al Giubileo delle carceri celebrando la Messa accanto a papa Giovanni Paolo II nell’istituto di pena Regina Coeli.
A ricordarlo oggi è anche don Raffaele Grimaldi, a sua volta ispettore generale dei cappellani in Italia: «Ha svolto con amore e passione il suo servizio accanto ai ristretti e a tutti noi cappellani. È stato un punto di riferimento per l’Amministrazione penitenziaria e in questa domenica, primo giorno della settimana, nel radunarci attorno alla Mensa del Signore, lo ricordiamo con la nostra fiduciosa preghiera… possa il Signore dare a lui il premio dei giusti e ricompensarlo per le sue fatiche».
Solo un mese fa don Raffaele e don Marco Recalcati, attuale cappellano di San Vittore, sono andati a fargli visita alla Sacra Famiglia dove risiedeva dal 2018.
«È grazie a don Giorgio che è iniziato il servizio dei seminaristi a San Vittore», racconta don Marco. La spinta è venuta proprio da lui e da altri tre compagni di teologia (Paolo Steffano, Enzo Barbante e Michele di Tolve), che fin dai primi anni di Seminario hanno voluto interessarsi alla vita del carcere. «Don Giorgio è venuto a trovarci in Seminario e così in seguito, in IV Teologia tre miei compagni hanno iniziato il servizio che continua tuttora», assicura don Recalcati che solo anni dopo diventerà cappellano a San Vittore.
Ancora oggi, quattro seminaristi varcano il portone di piazza Filangieri e affiancano don Marco e don Roberto Mozzi nella pastorale carceraria, sia nella liturgia, sia incontrando direttamente in colloquio le persone detenute nei reparti maschili e femminile. «Don Giorgio – conclude don Recalcati – è stato il cappellano che per la prima volta ha accolto 35 anni fa, i seminaristi in carcere, consapevole che fosse un’esperienza di servizio non a margine della vita del sacerdote».
Quando è diventato cappellano don Recalcati ha voluto incontrare don Giorgio e gli ha raccontato quanto tenesse, non solo al rapporto con i detenuti, ma anche con le istituzioni, che ancora oggi – chi lo ha conosciuto – ricorda la sua stretta collaborazione con l’amministrazione penitenziaria.