«Siamo qui, non per costruire un evento, ma perché ci vogliamo bene e abbiamo a cuore il destino gli uni degli altri. Il nostro non è un semplice incontro, ma un’Assemblea ecclesiale». Dice così il cardinale Scola, a Corsico, in un Teatro Verdi gremito di circa trecento cittadini e fedeli dell’Unità pastorale che riunisce le parrocchie dei Santi Pietro e Paolo e di Sant’Adele a Buccinasco. Dalla vicina sala del Centro sportivo, seguono in collegamento molte altre decine di persone. Ci sono i sindaci dei due comuni, Maiorano di Buccinasco e Maria Ferrucci di Corsico; in prima fila anche il decano di Cesano Boscone, don Luigi Caldera, molte altre autorità e i sacerdoti del Decanato. Il parroco di Sant’Adele, don Roberto Soffientini, racconta l’occasione per cui l’Arcivescovo ha voluto essere «tra noi»: la conclusione del Quaresimale 2014 dal titolo “Incontro all’uomo”: «Grazie, Eminenza, vorrei dirle che abbiamo riflettuto su queste periferie, come ci suggerisce papa Francesco, anche perché noi “siamo periferia”».
Col Vangelo di Matteo (13,24-42) e le domande, si apre il dialogo che va molto al di là del previsto approfondimento della Lettera pastorale Il campo è il mondo.
E infatti don Savino Gaudio, compagno di Seminario e amico del Cardinale, sulla propria esperienza di malattia, chiede il perché «del dolore, della sofferenza e della morte, soprattutto quando viene in giovane età. Un grido – aggiunge – che si fa domanda e attesa di una risposta sul senso di ciò che si sta vivendo, come se il dolore fosse il biglietto da visita dell’amore. Questo abbraccio tra dolore e amore, non potrebbe essere la strada per raggiungere ogni uomo nelle periferie dell’esistenza? Quel Gesù che ci abbraccia dalla croce non è il vero “crocevia” dell’incontro con l’uomo contemporaneo?».
La parola «grido», inserita nel contesto della «periferia dei cuori, perché le vere periferie sono queste e non quelle geografiche», diviene il filo rosso della risposta dell’Arcivescovo a un «interrogativo tanto stringente quanto fondamentale» e a quello di Giuseppe, che affronta la questione del «Dio onnipotente e impotente». «Occorre legare il tema della “Chiesa in uscita”, come la definisce il Papa, ai contenuti del mondo degli affetti, del lavoro e del riposo a cui si connettono i temi del male, dell’educazione, dell’edificazione di una vita buona nel quartiere e nella città. Le vie da percorrere sono anzitutto quelle costitutive della persona nel quotidiano: quando lavoro, mi riposo, amo lasciandomi plasmare ogni giorno dal Signore».
È da qui, suggerisce Scola, che si deve partire per comprendere quanto il “grido”, fin dalla nascita, sia una richiesta su chi “si prende cura di me” e una modalità di supplica a qualcuno che mi assicuri persino di fronte alla morte. «L’uomo è, nella sua esperienza di base comune a ciascuno, definito da una tale domanda di cura e ciò ci pone in relazione dall’origine», spiega. Dunque, «abbiamo strutturalmente bisogno dell’altro che risponde al mio grido e ciò indica la nostra limitatezza. Pur essendo soggetti personali di anima e di corpo, come dice il Concilio, nessuno può essere separato dai rapporti».
Ma proprio l’essere in relazione mostra il limite umano, in cui «si insinua l’esperienza del dolore, perché il desiderio di complimento e di felicità non può non essere attraversato dolorosamente dal limite. Nell’esperienza del male fisico e del più imponente male morale, il grido si fa attesa di una risposta e consapevolezza del limite». Una risposta che non può, come fu per Cristo in croce, essere tuttavia solo teorica, poiché la prova della malattia e della morte diventano il luogo concretissimo in cui la libertà è chiamata ad aderire al destino pieno, «all’eternità, perché dopo il Signore, la morte è vinta dalla vita». Insomma, è necessario uno sforzo di comprensione della sofferenza perché questa non rimanga fine a se stessa, ma sia strumento di cambiamento di vita, appunto il “biglietto da visita dell’amore” e lo spazio in cui poter andare incontro a ogni altro uomo e donna.
In questa logica l’Arcivescovo riflette anche sull’interrogativo di Emilio, della parrocchia dei Santi Pietro e Paolo, che chiama in causa la crisi «che, in una realtà forte dell’occupazione come Corsico, ci attanaglia da cinque anni» e le «aspettative dei giovani». «Certo – nota – la crisi è drammatica e dobbiamo difendere la dignità del lavoro e di un giusto salario; ma come cristiani siamo chiamati a dimostrare come il lavoro sia uno dei modi in cui incontriamo la società». Citando gli ultimi dati del Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo – da cui emerge, per la maggioranza dei 18-30enni, una fiducia nella famiglia e nel lavoro che la crisi non è riuscita a scalfire -, il Cardinale aggiunge: «Vivere il senso del lavoro nella stessa dinamica con cui sperimentiamo gli affetti veri, ci permette di mettere in campo la dignità della persona nella fraternità, nella sussidiarietà, nei complessi rapporti economici di oggi, nell’edificazione di un’amicizia civica. Il lavoro mette ciascuno di noi in gioco in prima persona».
È poi Mara, mamma di quattro bambini, a sottolineare l’emergenza della sfida educativa: «In una società che vola sempre più basso, quali sono le indicazioni e le richieste da esprimere perché i tre luoghi formativi per eccellenza, la famiglia, la scuola e l’oratorio, possono essere utili per una vera alleanza educativa?». Parole cui fa eco Anna, volontaria nel locale Centro di ascolto di Caritas Ambrosiana: «Come sperimentare in modo autentico la vicinanza agli ultimi, a chi ha bisogno?».
«La questione educativa è assolutamente decisiva per la Chiesa che è soggetto eminentemente educativo, ma anche per la società e per l’umanità», chiarisce l’Arcivescovo. Su questo «che è il problema più scottante che abbiamo», osserva, «ricordiamoci che l’educazione è la forma più intensa di amore che possiamo dare all’altro con lo scopo di educare adeguatamente all’umano. E per fare ciò abbiamo una strada: accompagnare con un’amicizia bella, vissuta nella libertà, alla scoperta del senso della vita. Qui dobbiamo continuare a imparare».
Anche sul “farsi prossimo” le scelte di fondo devono essere precise: «L’attivismo iper-impegnato in aiuto ai poveri è meritorio, ma da solo non basta. Cosa significa l’opzione preferenziale per i poveri a cui ci richiama Francesco? Il povero è costretto a una semplicità che favorisce l’unità della persona necessaria per crescere. Noi viviamo l’essere in modo più frammentato: guardare al povero in modo teologico ci chiede di educarci al gratuito, di apprendere l’amore vero nell’unità».
«L’opera di carità non sia solo una filantropica attività, ma sia radicata nell’educazione all’amare. Abbiamo bisogno di ritrovare il nucleo semplice e così, liberamente, nasceranno esperienze di donazione. Come ci dimostra l’esempio del Papa, sono convinto che, anche come Chiese, dobbiamo spogliarci di molte cose, ma tutto deve iniziare dalla persona che, in un confronto libero con al centro il povero, sappia imparare l’unità che porta alla sobrietà».
Infine ad Attilio, che si interroga sugli affetti anche relativamente alle coppie omosessuali, il Cardinale risponde «Per quanto riguarda la questione affettiva, abbiamo rispetto per ogni persona, qualsiasi siano le sue inclinazioni sessuali; veniamo incontro a ogni domanda che riguarda i diritti; ma dobbiamo portare la nostra visione del mondo nella società, dire ciò che noi sentiamo essere l’esperienza elementare della vita affettiva, ossia che la differenza sessuale è ineliminabile, tocca la radice profonda dell’io. Pur essendo aperti e rispettando tutti, è giusto che proponiamo ciò che, a nostro avviso, in un mondo con visioni diverse che si incontrano e scontrano, rende la società autentica e piena. Se sono convinto che la società si basa sul matrimonio come unione tra un uomo e una donna stabile, fedele e aperta alla vita, e non lo sostengo, tolgo qualcosa alla società stessa». E prima dei saluti calorosissimi, l’auspicio a vivere in profondità la Settimana Santa che è «la risposta vera al grido dell’uomo».