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Avvento

Scola:«La speranza cristiana
porta gioia a tutta l’umana famiglia»

Il cardinale Scola ha presieduto in Duomo la Celebrazione per la III Domenica dell’Avvento ambrosiano. Migliaia i fedeli che hanno preso parte all’Eucaristia, tra cui moltissimi ragazzi provenienti da parrocchie e comunità della Diocesi

di Annamaria BRACCINI

1 Dicembre 2013

«Siamo qui convenuti in questa terza domenica di Avvento per camminare senza indugio, come fecero i pastori, verso Colui che ci sta venendo incontro».
Con questo spirito, per usare le parole che il Cardinale propone in apertura della sua omelia, si ritrovano in Duomo migliaia di fedeli, per la celebrazione e la predicazione che si inseriscono nel percorso del tempo liturgico che ci separa dal Natale.
In Cattedrale, dove a lungo sono risuonate le composizioni sacre di Perosi, Brosig, Buxtehude, Mendelssohn, eseguite al monumentale organo dal maestro Vianelli, animano la liturgia, l’Agesci, la Comunità di sant’Egidio, Rinascita Cristiana; sono presenti anche i malati e i volontari dell’Unitalsi e alcuni membri dell’Opus Dei che iniziano in Duomo la Novena dell’Immacolata. Ci sono anche – ed è una festa vederli – i piccoli e ragazzi della Comunità pastorale di Mariano Comense e della parrocchia Santa Famiglia di Novate Milanese, rispettivamente 250 e oltre 100, e poi la comunità parrocchiale Don Carlo Gnocchi di Inverigo e quella di Cuggiono.
Il Cardinale li saluta subito, indicando a tutti la gioia del Vangelo che proviene dalla venuta del Signore. Il pensiero va alla recentissima Esortazione apostolica di Papa Francesco e dice, allora, l’Arcivescovo: «L’attesa dei cristiani è l’attesa, perseverante e vigile, propria dei figli che, in Cristo Gesù, appartengono al Padre. I cristiani vivono fin d’ora, soprattutto partecipando all’Eucaristia, quella trama di nuovi e permanenti rapporti che costituisce il Regno».
Un regno che non è di questo mondo, ma al quale ci prepariamo nell’attesa, secondo quelle “Profezie adempiute” realizzate dal Signore che “sempre mantiene le sue promesse” «anche se spesso gli uomini si allontanano dal Padre, disobbediscono e Lo dimenticano».
Profezie che danno, non a caso, il titolo alla III Domenica del nostro Avvento, proprio perché tutti possiamo essere abbracciati dalla sua misericordia, il «Mistero con cui la Trinità conduce la storia»: la persona di Gesù: Un Signore mite, non da leggere in una prospettiva apocalittica, come proponeva la predicazione del Battista, ma «che non emette nessuna sentenza di condanna e che sopporta l’opposizione». E così il dubbio espresso nella domanda di Giovanni, nel Vangelo di oggi, diventa – nota il Cardinale – anche il nostro interrogativo benefico e “utile”: «Anche noi, nel rapporto con Gesù, facciamo ogni giorno i conti con la stessa tensione, che può trasformarsi, sul piano pratico, in una distanza. Diventiamo allora incapaci di dare del Tu a Gesù. La sua persona si sbiadisce ai nostri occhi».
E se la risposta del Signore, sul suo essere il Messia, ha molto a che fare con l’esperienza concreta, con ciò che i Discepoli possono vedere, con i “segni” che egli ha compiuto, ne nasce per noi un insegnamento chiaro che ci parla di libertà. «Alla domanda su chi è Gesù non basta rispondere con formule corrette. È necessario lasciarsi coinvolgere dalla sua presenza. E questo chiede una decisione di tutta l’esistenza. Si rivela così quanto sia determinante il quotidiano, ove la nostra libertà è chiamata a scegliere per Cristo in tutte le dimensioni – gli affetti, il lavoro, il riposo, il dolore e la giustizia – e in tutti gli ambiti dell’esistenza».
Una libertà che la Chiesa continua a offrire a tutti gli uomini non di rado «smarriti e vacillanti» in ogni tempo, attraverso la salvezza che viene da Gesù. I cui “segni” sono opere di liberazione, misericordia e del chinarsi del Signore sui suoi figli più poveri e in difficoltà, come, in queste settimane, sono le popolazioni delle Filippine colpite dal tifone, per le quali, secondo la raccolta straordinaria promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana, si destinano le offerte anche in Duomo.
Da qui il senso profondo e autentico dell’attesa a cui siamo chiamati e della quale è emblema il prefazio di questo giorno di speranza cristiana che porta gioia a tutta l’umana famiglia. «A Cristo Signore la Chiesa va incontro nel suo faticoso cammino, sorretta e allietata dalla speranza, fino a che, nell’ultimo giorno, compiuto il mistero del regno, entrerà con Lui nel convito nuziale».

Una speranza
che cerca certezza

«Sei tu colui che deve venire?». Ci sorprende sentire questa domanda sulla bocca di San Giovanni, di colui cioè che già aveva battezzato Gesù nel fiume Giordano, riconoscendolo come il Messia. Eppure il Battista ora appare perplesso, all’inizio di questo undicesimo capitolo del Vangelo di Matteo, come in cerca di conferme a una speranza che ancora non riesce a diventare certezza... Così ce lo mostra Giusto de’ Menabuoi, abile rinnovatore del linguaggio di Giotto, in un affresco nel Battistero di Padova realizzato attorno al 1375. Giovanni è in carcere, rinchiuso da Erode Antipa nella fortezza del Macheronte, con ancora indosso la veste di peli di cammello con cui aveva predicato nel deserto della Giudea. Davanti a lui, dall’altra parte delle sbarre, due discepoli, che dovranno farsi tramite del Battista presso Gesù (infatti il Precursore, significativamente, con una mano indica se stesso, con l’altra già li invita ad andare). E c’è inquietudine, nel terzetto: un gesticolare animato, di chi intuisce che da quella risposta dipenderà il proprio destino. E quello di tutti. Ma le parole di Cristo confermeranno che veramente è già iniziata l’era messianica: le profezie, in Lui, si sono infine adempiute.
Luca Frigerio