È lo splendido e antico complesso dell’Abbazia di Mirasole, tornato a vivere dopo i restauri e grazie alla presenza pastorale della Comunità dei Canonici Regolari Premostratensi, a fare da cornice a una delle giornate più attese del Meeting mondiale promosso da Uniapac, l’Unione Internazionale degli Imprenditori e Dirigenti, che conta sedicimila associati in diversi Continenti. Un incontro che si svolge, quest’anno a Milano, per Expo e il cui titolo, “Fame e sete di valori”, richiama i temi dell’Esposizione, approfonditi nei giorni scorsi dai Delegati in un Convegno organizzato presso l’Università Cattolica.
Per presiedere l’Eucaristia, nella chiesa risalente al XIV secolo, arriva il cardinale Scola. C’è il presidente Uniapac, José Maria Simone, il presidente dell’Unione Cristiana Industriali e Dirigenti Italiana – 3000 gli iscritti -, Giancarlo Abete e Giovanni Facchini Martini delegato Ucid per i rapporti con Uniapac.
Concelebrano il rito, il vescovo camerounense George Nkuo, il priore di Mirasole, padre Dauzet, l’assistente dell’Uniapac, padre Herr, il vicario episcopale della Zona sesta, monsignor Cresseri e il consulente ecclesiastico dell’Ucid di Milano, don Ormas.
La riflessione dell’Arcivescovo muove dalla Parola di Dio, nel richiamo al Libro del Genesi, con la creazione della coppia, all’Epistola agli Efesini, e al Vangelo di Marco. In sintesi, ciò che si ripercorre sono i fondamenti del rapporto uomo-donna e dell’unione sponsale: un tema – nota l’Arcivescovo – «che è oltremodo scottante nelle nostre società europee in questa epoca di passaggio».
«Dio ha creato l’universo e lo ha fatto non per un dominio predatorio e strumentalizzante dell’uomo, ma per il suo benessere alla cui realizzazione è tuttavia necessaria la qualità del rapporto comunionale. Quello che Adamo può trovare quando Dio gli conduce davanti la donna».
Dal Primo testamento al Vangelo, con le parole di Gesù che sanciscono l’indissolubilità del matrimonio – “l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto” –, nasce il monito di Scola. «Cristo è categorico e taglia alla radice la questione, anche allora assai dibattuta, circa il ripudio. Se c’è un tempo bisognoso di una cura speciale, di una disponibilità ad accompagnare un’umanità che ha perso il senso e il valore del bell’amore, è questo nostro tempo. Il desiderio di Gesù è di fare emergere la dimensione che è costituiva di ogni amore e soprattutto di quello nuziale, il “per sempre”. Cristo, richiamando il principio, vuole riproporre la bellezza del legame tra un uomo e una donna aperto alla vita, capace di non trasformare l’altro in strumento e in oggetto della propria autorealizzazione o in una macchina del proprio piacere».
E se, come ricorda papa Francesco, «la chiesa è pienamente coinvolta nella realtà di ogni matrimonio cristiano», è evidente la responsabilità che ne deriva per i credenti.
«Siamo chiamati a vivere la testimonianza della bellezza del matrimonio cristiano che è condizione privilegiata dell’incarnazione della fede nella vita quotidiana. È sotto gli occhi di tutti come la frattura tra vita e fede sia diventata gravissima. Una delle ragioni di questa realtà – scandisce l’Arcivescovo – è proprio che la famiglia cristiana fatica a essere soggetto di evangelizzazione nel quotidiano».
Una ferialità «da vivere solidarmente, nell’annuncio cristiano aprendosi alla convivialita, assumendo la propria responsabilità. La famiglia è ciò che potrà aiutare la Chiesa in Europa a superare le sue difficoltà. Preghiamo per una domanda di bene – questa – che in una società come la nostra, non è solo per i cristiani, ma per tutti gli uomini».
E, a conclusione della Celebrazione, il pensiero dell’Arcivescovo torna alle vicende di queste ore e al ruolo dell’Europa: «La situazione drammatica di tanti nostri fratelli perseguitati, di tanti immigrati e profughi dice l’impotenza gravemente responsabile dell’Europa che non riesce a trovare una soluzione equa al problema. Basti pensare al Libano che accoglie oggi un milione e mezzo di rifugiati siriani. È ora che di chiederci, come cristiani, chi vogliamo essere. Uniapac deve dare il suo contributo, essendo aperta a tutti, ma, almeno nei suoi ruoli dirigenti, sottolineando che la competenza da sola senza senso adeguato e cristiano di vita, non basta».
Infine, è l’Arcivescovo stesso ad avviare, con un suo saluto, l’assise di tutti i Delegati che poi si dividono nei tre Regional Boards di Europa, America Latina, Africa. Il presidente Simone ricorda la presenza mondiale di Uniapac e la sua attuale apertura all’Asia.
Di nuove pratiche e di stili di vita sostenibili, ma soprattutto della necessità di un’educazione condivisa per potere mettere in atto una vera giustizia capace di sconfiggere fame e sete, parla il Cardinale. «Occorre pensare in un modo diverso, nuovo a livello personale e comunitario», spiega in inglese, evidenziando la grande opportunità rappresentata, in questo senso, da Expo 2015.