«L’espressione “Europa famiglia di popoli”, ripetuta da papa Francesco nei discorsi rivolti all’Europa, dice bene il compito storico che la attende: non un superstato né una raffinata tecnocrazia, ma una convivenza delle diversità, capace di farle collaborare e di integrarle nell’orizzonte di senso proprio di un umanesimo personalista». Lo sostiene il cardinale Angelo Scola nel suo Discorso alla città nella basilica di Sant’Ambrogio, di fronte alle autorità politiche, militari, religiose e del mondo economico e produttivo della Diocesi di Milano.
Alla vigilia della festività del Santo patrono, nella tradizionale occasione per rivolgersi alla cittadinanza, l’Arcivescovo ha scelto un tema di grande attualità: «Milano e il futuro dell’Europa».
In una stagione di grande crisi per l’esperienza comunitaria europea, la voce della Chiesa ambrosiana vuole essere un contributo al dibattito, di analisi della situazione, ma soprattutto indicando la strada del recupero degli ideali fondativi, declinati con modalità nuove rispetto ai tempi difficili che viviamo. «L’intento è unicamente quello di collaborare all’edificazione di una società della vita buona, che abbia nella libertà il suo emblema», sottolinea il Cardinale. «Si ha la sensazione – bisogna riconoscerlo anche se è francamente allarmante – che l’Europa, e in essa Milano, si trovi ad affrontare emergenze per le quali non sembra avere sufficiente pensiero, né forza politica». Infatti, «non sembra più neppure possibile coniugare il pessimismo dell’intelligenza con l’ottimismo della volontà, visto che l’Europa sembra da troppo tempo incapace di agire – oltre che di pensare – in modo efficace».
Dalla Brexit al referendum
«Non possiamo ignorare le vicende del Vecchio Continente nell’ultimo anno – continua Scola -. Mi riferisco agli attentati in Belgio o in Francia, alla Brexit, al diffondersi di nazionalismi. Anche il referendum di domenica impone una riflessione sull’Europa. Senza entrare nell’esito dello stesso, non possiamo negare che il risultato del referendum è anche, nello stesso tempo, conseguenza e provocazione della situazione europea. Apre un compito per tutti i cittadini italiani, i corpi intermedi e le istituzioni. Ci riguarda in termini personali e collettivi. Ci riguarda come città. Non possiamo però negare che questo compito tocchi specialmente a quanti sono impegnati con la difficile arte della politica. La politica non può avere nel consenso immediato l’unico criterio di azione».
Le quattro emergenze dell’Europa
Nelle analisi degli esperti «si può parlare di declino dell’Europa a partire da quattro “emergenze” sotto gli occhi di tutti: il terrorismo, l’ondata migratoria, la crisi finanziaria e la crisi politica».
Per quanto riguarda l’ondata migratoria, afferma Scola, «si sta rispondendo con un approccio reattivo e in ordine sparso. L’incapacità di pensare anzitutto in termini di accoglienza – papa Francesco docet – insieme alla spinta nella direzione di una Realpolitik che vorrebbe legittimare il diritto di escludere, sono sintomi di un fallimento e di un declino complessivo dell’Europa come protagonista di fronte a questa marea umana di sofferenza. L’attuale fenomeno migratorio si presenta così, secondo non pochi analisti, come il banco di prova più importante del futuro dell’Europa».
La crisi della politica
Non da meno la crisi finanziaria, che dal 2008 colpisce pesantemente il continente, «anche se non su tutti gli Stati allo stesso modo, cosa che complica ovviamente il problema». E poi la crisi politica, «manifestatasi in una grave assenza di volontà politica comune. La politica, infatti, sta vivendo una crisi storica quanto alla sua ragion d’essere. Se infatti politica è essenzialmente gestione del potere, oggi non solo le forme tradizionali di tale gestione sono divenute problematiche (in tutto l’arco del rapporto partiti-Stato), ma la stessa collocazione del potere è divenuta incerta. I luoghi del potere sono oggi più diffusivi, meno identificabili, più anonimi».
Una politica che si fa superare anche da «tecnologie e comunicazioni, che hanno i loro maggiori centri di potere in organizzazioni sovranazionali che gestiscono con ampio margine di autonomia le loro politiche commerciali e culturali».
Una nuova visione di Europa
Quali strade intraprendere per uscire dal vicolo cieco in cui l’Europa sembra essere caduta? Risponde Scola: «Diviene necessario domandarsi se essa sia in grado di incarnare ancora un’idea politica forte, quale è stata quella che negli anni Cinquanta è riuscita ad aggregare i primi Stati membri. È necessaria una nuova visione dell’Europa che, da una parte, valorizzi quella molteplicità culturale che da sempre la caratterizza e, dall’altra, permetta agli stessi Stati di ritrovare la necessaria unità per rispondere alle sfide dei tempi, prime fra tutti l’immigrazione e la sicurezza».
Fenomeni complessi da affrontare in maniera complessiva, di fronte ai quali «oggi nessuno Stato nazionale è in grado di affrontarli da solo: l’Europa non è un’opzione, ma una vera e propria necessità».
Perciò «siamo chiamati a partire dalla realtà, nelle sue urgenze concrete, per lasciar emergere l’ideale». Infatti, «anche oggi servono nello stesso tempo grande realismo e grandi ideali».
«Un sano rapporto tra reale e ideale – afferma il Cardinale – come metodo per edificare una comune casa europea mostra che in Europa siamo attrezzati per affrontare l’inevitabile tensione tra identità e differenza e tra unità e pluralità che, a ben vedere, anche se con caratteri diversi, ha connotato ogni epoca».
In questo contesto ha un ruolo particolare Milano, che «si è ritrovata e si ritrova, quasi suo malgrado, a guidare processi di sviluppo e di innovazione fortemente connessi con le dinamiche delle culture e delle idee europee». Infatti, «radicamento locale e vocazione internazionale sono sempre stati fortemente intrecciati», dove «la gente ambrosiana ha sempre respirato con due polmoni, quello locale – del campanile, del municipio, del cortile – e quello dell’Europa».
Il ruolo di Milano
Da sempre Milano è «una città da cui si viene adottati, si vedono esaltati i propri talenti e la propria capacità di contribuire allo sviluppo e ci si può sentire profondamente milanesi». Ricorda Scola che «è cresciuta per il saper fare e l’ingegno dei suoi cittadini, per la capacità di attirare gente libera, gente che spesso aveva fame, gente che aveva voglia di lavorare. Gente solidale, che si mescola, si incontra e coopera».
Questo dinamismo è da coltivare sempre, perché non mancano i problemi nella metropoli: da alcune periferie degradate, alla mancanza di case, dall’accoglienza e integrazione al lavoro che speso manca anche se «la cultura ambrosiana si è sempre legata inscindibilmente all’innovazione, al saper fare e all’intrapresa».
Sempre attivo l’apporto della Chiesa ambrosiana che «continua a cementare, come già negli anni Cinquanta e Sessanta – penso soprattutto alle periferie – uomini e donne delle diverse fase di immigrazione. Costruisce amicizia civica e non cessa di contribuire a delineare il volto del nuovo cittadino ad un tempo ambrosiano ed europeo».
Il contributo dei cristiani
Ma quale contributo possono offrire i cristiani al futuro dell’Europa, si domanda l’Arcivescovo. «I cristiani – risponde – porteranno il loro contributo per ricostruire un’esperienza del bene comune che stia a fondamento dell’impegno politico e nutra un’altra idea di Europa dopo che quella burocratica e finanziaria è diventata da sola inservibile».
«Gli europei, oserei dire soprattutto i cristiani – sottolinea Scola – hanno tutti gli strumenti culturali per raccogliere la sfida della pluralità. Si tratta di ripensare gli assiomi su cui poggiano le nostre democrazie procedurali e il principio di laicità sul quale intendono reggersi. In una società plurale, per sua natura tendenzialmente conflittuale, la laicità è tale solo se crea le condizioni per garantire la narrazione di tutti i soggetti personali e sociali che la abitano, in vista del reciproco riconoscimento. Solo così è possibile una convivenza tendenzialmente armonica che generi vita buona».
Scola ricorda la realtà del «cattolicesimo popolare che, senza negare tutte le sue fragilità, caratterizza ancora in buona misura la Chiesa ambrosiana». Una comunità cristiana che testimonia «a tutti i milanesi e agli europei di oggi e di domani, anche ai fedeli di altre religioni e ai non credenti, come il cristianesimo sia in grado di contribuire alla vita buona delle nostre democrazie di stampo procedurale».
Una terra, quella ambrosiana, che vive la «memoria cristiana, sia a motivo delle loro radici e del loro iniziale originario modello integratore, sia a motivo del processo moderno di secolarizzazione che in ogni suo risultato (anche quello più religiosamente ostile) porta comunque il segno della sua origine».
Potranno la città metropolitana, la Lombardia, l’Italia e l’Europa vivere senza il cristianesimo, si domanda il Cardinale. Risponde affermando che «ripensare la forma della fede è la preoccupazione cruciale», è necessario un «nuovo modo di pensare la fede» che sia «esempio di umanità, di vita rinnovata e di sorgente di molte espressioni di costruttiva convivenza, cura e cultura». Insomma, «annunciare e vivere i misteri della fede cristiana quale principale contributo ad una società plurale dal volto umano».
Anche la presenza islamica pone interrogativi alla vita di fede dei cristiani. «L’islam, con la sua forma di vita estremamente semplice e chiara per tutti, rappresenta per esempio una sfida da non lasciar cadere – dice Scola -. Dall’altra parte il progressivo sfumare nella società dell’esistenza cristiana in forme via via più secolarizzate pone problemi che domandano una fede ben ancorata alla mentalità e ai sentimenti di Cristo e che soprattutto esigono oggi la forza della testimonianza».
Perciò è necessario per i cristiani leggere sempre i segni dei tempi: «Il cristianesimo avrà saputo cogliere alcuni stimoli propri di ogni epoca, per rilanciarli in maniera creativa. Per questo appare miope deprecare l’attenzione ai segni dei tempi come un cedimento allo spirito del tempo, o peggio come una sostituzione della fede con il politically correct: questo è certo un rischio, ma speculare rispetto a quello, non meno grave, della chiusura della fede nell’ambito dell’intimità personale, importante sì, ma completamente ininfluente sulla civiltà».
«L’Italia e l’Europa hanno urgente bisogno di ricominciare ad investire sulla promozione e protezione della vita e sulla famiglia fondata sul matrimonio tra l’uomo e la donna; il bene della vita umana ed il corrispondente diritto alla vita, dal concepimento al suo termine naturale».
«Un cristianesimo dell’amore personale – continua l’Arcivescovo – renderà quotidiana testimonianza al bene della differenza sessuale che, rettamente intesa, lungi dall’introdurre qualunque tipo di discriminazione, si offre come strada percorribile per imparare il valore dell’altro e il dono di sé».
«Non è estranea alla crisi politica in cui sono immerse l’Italia e l’Europa un’equivoca concezione di diritti individuali il relativismo giuridico», prosegue Scola, nella «consapevolezza della perfettibilità del sistema delle leggi sia dal riconoscimento della dignità inviolabile della coscienza». Un fattore fondamentale per il rilancio dell’Europa è infatti sostenere «l’istituto giuridico dell’obiezione di coscienza, che costituisce un baluardo della democrazia, permettendo di evitare ogni deriva utopica, ultimamente sempre totalitaria. Se l’obiezione di coscienza viene compromessa “a farne le spese sono le ragioni del pluralismo e della tolleranza”».
Il futuro dell’Europa
«L’Europa del futuro, proprio in forza del processo di meticciato di culture e di civiltà, chiede di essere edificata sul riconoscimento e sulla pratica effettiva della libertà di coscienza, fino al rispetto scrupoloso dell’obiezione di coscienza. A un tale compito i cristiani dovranno essere disposti a collaborare secondo la logica della testimonianza che non esclude il martirio».
«Il futuro dell’Europa sta davanti a noi milanesi – conclude il Cardinale – come compito affidato alla nostra libertà. Esso non potrà attuarsi se non a partire dal sano connubio tra il reale e l’ideale che caratterizza essenzialmente le terre e la Chiesa ambrosiane. Un metodo efficace per edificare una casa comune in grado di rendere l’Europa significativo attore della globalizzazione e nel contempo di preservarla dalla tentazione di fagocitare con la sua cultura altre realtà del pianeta».