Share

Milano

Scola: «Una Chiesa testimone
di ciò che vive»

Nella celebrazione in Duomo in occasione del nono anniversario dalla morte di monsignor Luigi Giussani, l'Arcivescovo ne ha ricordato la passione educativa, sottolineandone l'estrema attualità

di Francesca LOZITO

11 Febbraio 2014

Testimoniare ciò che si vive. Nella consapevolezza che solo così può nascere e maturare quel dono della propria esistenza a Cristo. Sottolinea questo passaggio come urgente, oggi, per tutta la comunità cristiana l’arcivescovo di Milano Angelo Scola durante la celebrazione eucaristica nel nono anniversario dalla morte di monsignor Luigi Giussani e nel trentaduesimo dal riconoscimento pontificio della Fraternità di Comunione e Liberazione. Un Duomo affollato, quello di martedì 11 febbraio, che si è stretto attorno al cardinale Scola per dire grazie del dono alla Chiesa del carisma del fondatore di Cl.

Nell’omelia (in allegato il testo integrale) Scola ha sottolineato alcuni dei tratti caratteristici di Giussani: dalla «dolce fede mariana» a quella umiltà che «genera fedeli lieti e costruttivi e, come diceva Péguy, li rende “i più civici tra gli uomini”».

In tutto il suo cammino il fondatore di Comunione e Liberazione ha cercato l’unità: «Il Servo di Dio, nel suo coraggioso sforzo innovativo, per il quale ha sovente pagato di persona, ha sempre perseguito in tutti i modi l’unità, fondata sulla roccia del ministero del Papa e dei Vescovi in comunione con lui. Roccia che sola garantisce l’apertura totale del cuore dei fedeli. E l’unità si alimenta quotidianamente nella sequela di coloro che sono stati chiamati a guidare la Fraternità di Comunione e Liberazione, e come tali sono stati riconosciuti dalla Chiesa».

Al termine della celebrazione è intervenuto don Julian Carròn, che ha rivolto all’Arcivescovo un saluto a nome dell’assemblea: «Chiediamo a Dio di essere fedeli alla nostra vocazione – ha detto il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione -, nella riscoperta continua della novità del carisma di don Giussani, che ci ha testimoniato con tutta la sua esistenza che la gioia più grande della vita dell’uomo è quella di sentire Gesù Cristo vivo e palpitante nella gioia del nostro cuore». Proprio per questo, ha concluso, «rinnovo davanti a lei la consegna e la disponibiltà totale delle nostre vite  a seguirla e a collaborare con lei secondo le nostre possibilità in quella passione di testimonianza nelle circostanze quotidiane e in quegli ambiti in cui si gioca la vicenda comune dei nostri fratelli uomini attraverso l’annuncio esplicito della bellezza della bontà e della verità di Gesù Cristo che corrisponde all’umano desiderio di pienezza».

Il carisma di educatore

Prima della benedizione Scola ha voluto spiegare quale sia l’attualità dell’insegnamento di don Giussani, riletto alla luce di quanto accade oggi nella Chiesa e nel mondo: «La potenza del carisma del servo di Dio monsignor Luigi Giussani, starei per dire, si vede più adesso di quando egli cominciò 60 anni fa. Il suo inizio fu come una premonizione di ciò di cui avrebbe avuto bisogno la santa Chiesa nelle sue mille forme di doni carismatici e istituzionali in questo tempo presente di passaggio travagliato al nuovo millennio».

Al centro di tutto il percorso di Giussani fu la passione educativa: «Come si può rispondere all’ansia affascinata e confusa dell’uomo post-moderno, se non educando uomini e donne fin dalla prima infanzia ad accogliere il mistero che ci abbraccia e al dono totale di sé? Lo smarrimento circa i fondamentali del vivere – che cosa sia l’amore, che cosa sia la differenza sessuale, che cosa vuol dire procreare ed educare, perché si debba lavorare, perché una società civile plurale possa essere più ricca di una società monolitica, come poterci incontrare reciprocamente per edificare comunione effettiva di tutte le comunità cristiane e vita buona nella società civile, come rinnovare la finanza e l’economia, come guardare alle fragilità della malattia, alla morte, alla fragilità morale, come cercare la giustizia, come condividere incessantemente imparando il bisogno dei poveri… – tutto questo deve essere riscritto nei nostri tempi, ripensato e perciò rivissuto».

Testimonianza e racconto

In questo ambito «il genio pedagogico di monsignor Giussani ritrova qui, senza averlo mai perduto, un ambito nuovo… di testimonianza e di racconto». «Non si possono più separare queste due parole – ha precisato l’Arcivescovo -. Bisogna vivere ciò che si intende comunicare; ciò che non è comunicato non è interamente compreso, e se non è compreso è perché non è adeguatamente vissuto. L’uomo di oggi cerca, anche quando si ribella nei confronti di Dio, anche quando non ama la Chiesa di Dio e gli uomini di Chiesa, cerca incessantemente e affannosamente. Chi trova? Deve trovare i cristiani nella nostra bella Chiesa ambrosiana, pluriforme nell’unità, ricca di tanti doni, deve trovare uomini di comunione accoglienti gli uni degli altri, in ascolto reciproco, tesi a dare la propria esistenza per il bene supremo dell’esistenza stessa che è Gesù Cristo».

Proprio nell’ottica della «testimonianza e racconto pubblico di ciò che si vive», il Cardinale ha espresso la sua gratitudine «per quanti tra voi sono passati all’altra riva quest’anno, molti dei quali hanno lasciato una testimonianza formidabile di come sia bello vivere finché il Padre non ci chiama, e di come sia ancor più bello il volto che attraverso Gesù in Paradiso potremo almeno scrutare», anche se – ha chiosato – «non ce la facciamo a pensarlo, talmente siamo attaccati a noi stessi e ai beni di questo mondo…».

E l’affidamento finale alla Vergine di Lourdes, con la raccomandazione della Messa feriale il più possibile e del Santo Rosario, «condizioni che non debbono essere messe da parte per nessun ritmo intenso di vita. Non c’è giustificazione nel mettere da parte i gesti costitutivi che rispondono al nostro cuore, non c’è giustificazione per non fare quotidianamente spazio eucaristico a Dio».