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Milano

Scola: «Siate testimoni
di legami belli e di vita buona»

Il Cardinale è intervenuto al Congresso elettivo del Centro Italiano Femminile della Lombardia. Alle delegate e aderenti ha indicato la necessità di impegnarsi come donne proponendo, con realismo e speranza, i valori guida dell’Associazione

di Annamaria BRACCINI

30 Novembre 2013

“Rigenerare legami belli in famiglia”. Piace, al cardinale Scola – e lo sottolinea – il tema del Congresso elettivo del Centro Italiano Femminile della Lombardia. Incontro che si svolge presso il Collegio Universitario “Marianum” e a cui l’Arcivescovo interviene, per dire «la propria riconoscenza e quella dell’intera Chiesa ambrosiana» a questa Associazione, capillarmente diffusa sul territorio di tutte le province dove arriva la Diocesi di Milano: oltre mille le aderenti.
Le circa duecento partecipanti e delegate al Congresso, presenti la presidente nazionale Maria Pia Savatteri e la presidente regionale uscente, Alessandra Tarabochia, accolgono con un applauso caloroso il Cardinale. In apertura del Lavori si prega con la guida dell’assistente ecclesiastico, don Giuseppe Grampa e si riflette attraverso la relazione di Francesco Belletti, presidente nazionale del Forum delle Associazioni Familiari, che dice: «Dobbiamo fare sinergia, ‘essere famiglie insieme’, per fare meglio, ciascuno, la nostra famiglia, per fare più famiglia nella società».
L’Arcivescovo, da parte sua, nota subito: «Sono rimasto positivamente colpito dal tema scelto, infatti, il nesso tra legami e bellezza possiede una chiara attualità ed è di grande efficacia. Incontra, poi, la mia personale sensibilità», spiega, ricordando il suo lavoro di professore universitario, come insegnante e preside, chiamato da Giovanni Paolo II, del Pontificio Istituto su Matrimonio e Famiglia. «Affrontare il problema, secondo la ‘cifra’ positiva della bellezza, rende comprensibile la dimensione dottrinale ed etica che ogni tipo di rapporto umano porta con sé. Ciò che papa Francesco ci aiuta a comprendere, attraverso la cultura dell’incontro e che anche noi, come Diocesi, abbiamo indicato con il Percorso pastorale “Il campo è il mondo”, trova nel CIF una modalità espressiva importante». Come d’altra parte, è nella mission dell’Associazione, nata nell’ottobre 1944 come collegamento di donne e realtà di ispirazione cristiana, “per contribuire alla ricostruzione del Paese attraverso la partecipazione democratica, l’impegno di promozione umana e di solidarietà”. Donne con la Costituzione in una mano e il crocifisso nell’altra, si potrebbe dire.
«Il vostro andare negli ambienti quotidiani con una precisa missionarietà e testimonianza e, dunque, aiutando a vivere bene le dimensioni costitutive della vita dell’uomo, gli affetti, il lavoro, il riposo, cui si connettono l’esperienza del dolore, l’educazione e l’impegno per la giustizia, è assai necessario». Specie in una società attuale, suggerisce ancora l’Arcivescovo, «nella quale circola l’idea che la libertà sia rottura da tutti i legami, una “libertà da” e non “una libertà di”».
Da qui, un primo compito da assolvere «come donne, con grande realismo e un’ottica di speranza, essere testimoni dei legami belli che vengono da un amore che non si riduca solo a passione, ma sia effettivo e oggettivo, ossia capace di passare da un risposta affettiva a una effettiva, in un orizzonte di libera adesione». Solo comprendendo la differenza ineliminabile tra uomo e donna, si arriva alla radicale bellezza «del mistero nuziale costituito dai tre elementi della differenza sessuale che apre alla relazione amorosa che, a sua volta, non può che essere feconda».
Vivendo così il rapporto uomo-donna, quello in famiglia e nella società, emerge il “bell’amore” che si costruisce sull’esperienza fin dalla nascita – basti pensare al bambino che vede nel sorriso della madre una promessa di speranza – e sul modello dell’amore di Cristo che ama sempre per primo e in modo gratuito.
In tutto questo il CIF, come Associazione civile, «ha un ruolo più che mai attuale e la donna un peso straordinario, pur – evidenzia il Cardinale – nella grande difficoltà nata dal travaglio in cui è entrata la figura femminile dall’inizio degli anni ’60, come ben intuì Paolo VI nel redigere l’Enciclica “Humanae vitae”».
Insomma, vi è una necessità che la donna si ripensi, e questo non può essere fatto da sole e nemmeno in un orizzonte solo intra-femminile, anche per quanto attiene al ruolo all’interno della dimensione ecclesiale. «Dovete inserire la ricerca della vostra vera identità in punto nodale», scandisce Scola, rivolgendosi direttamente a chi gli è di fronte. «La vocazione ecclesiale della donna stia dentro la prospettiva della relazione sponsale della Chiesa, senza confondere la dimensione mariana con quella petrina». Come a dire, è riduttivo, e anche inutile, chiudersi nella richiesta o nella prospettiva di ruoli che non appartengono, nella Chiesa, alla realtà femminile. Occorre, invece, lavorare per promuovere «la vita buona all’interno della società con la ricerca di un nuovo umanesimo. L’interculturalità di una società plurale è una sfida e una risorsa, ma per sua natura è conflittuale e, quindi, si tratta di portare il proprio contributo. L’equivoco da superare è che non si debba proporre la propria visione cristiana delle cose. Sono convinto – conclude il Cardinale – che una società civile sana si basi sulla famiglia, fedele e aperta alla vita e se non lo propongo, tolgo qualcosa alla società stessa. Non tocca al potere politico gestire la società, ma governarla: ci racconteremo e ci lasceremo raccontare, poi il legislatore, rispettando i diritti di tutti, troverà quale tipo di legge deve essere varata».