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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Seconda Domenica d'Avvento

Scola: «Occorre un’opera educativa
per ritrovare il senso del vivere»

Il Cardinale ha presieduto in Duomo la Celebrazione Eucaristica: «Occorre una conversione per annunciare il dono ricevuto con il Signore Gesù»

di Annamaria BRACCINI

22 Novembre 2015

Il compito, ormai non più dilazionabile, di costruire la pace, le strade per la pace, come “Figli del Regno”, che tutto hanno ricevuto dal Signore e che questo devono annunciare.

In Duomo, il Cardinale Scola, presiede l’Eucaristia nella seconda Domenica dell’Avvento ambrosiano. L’appello da lui stesso rivolto ai fedeli, per non rispondere «alle orrende tragedie di questi giorni, cedendo alla vendetta, all’odio e alla paura, ma vivendo, la domenica, il gesto settimanale decisivo che è la Santa Messa», è stato accolto da tanti, anche se è innegabile che il timore si faccia sentire. E, allora, le parole dell’Arcivescovo giungono più che mai forti e decisive, durante l’omelia che prende avvio dalla prima pagina del Vangelo di Marco, con l’esplicitazione chiara dell’identità divina dell’uomo Gesù. «Avvenimento definitivo che dona il perdono dei peccati, in cui si incarna la misericordia del Padre». Di quel Dio che «agisce nella nostra storia personale e in quella della famiglia umana in modo sorprendente, secondo una “misura” e una modalità che spiazza gli uomini» e porta la salvezza, «che non è una prerogativa esclusiva ed escludente» a tutti.

«Ecco perché mai possiamo concepire la nostra salvezza separatamente dalla salvezza di tutto il popolo di Dio, di tutti i popoli di diverse religioni, di tutti gli uomini di buona volontà e di tutti gli uomini».

Da qui, l’auspicio che diviene monito, attraverso il riferimento alla Lettura biblica del profeta Isaia. «La pace che noi attendiamo per i popoli non possiamo non innestarla in quella nostra personale. Essa ci richiama il compito indilazionabile di costruire la pace. Questo compito inizia da ciascuno di noi per passare, poi, ai corpi intermedi della società e per arrivare ai popoli. Le recenti ferite inferte all’umanità dagli orribili attentati di Parigi e del Mali – senza dimenticare le situazioni in Medio Oriente – non cessano di sanguinare. L’ombra di simili terrificanti episodi oscura un poco anche le nostre terre, come vediamo anche stasera dalle difficoltà per raggiungere questo nostro amato Duomo che sarebbe minacciato. Allora tutti – cittadini, corpi intermedi e istituzioni statuali – siamo chiamati, soprattutto in Occidente, ad abbandonare forse le nostre eccessive sicurezze, scegliendo di assumere le nostre responsabilità nei confronti della violenza, della persecuzione e della tragedia della guerra».

Responsabilità e consapevolezza che non possono più essere solo espresse a parole: «Non basta più – scandisce, infatti, l’Arcivescovo – il puro richiamo ai valori, non è più sufficiente una riproposizione dell’elenco dei diritti umani se tutto ciò rimane disancorato dai processi e dagli avvenimenti storici. Serve un cambiamento, una conversione, un’energica azione educativa che riguarda noi tutti, in particolare rivolta ai giovani. Una effettiva riproposizione di “senso” per vivere».

«Dagli ignominiosi fatti accaduti in questi giorni, come da un colpo di spada a doppio taglio, sgorga una domanda destabilizzante, inquietante che deve essere presa da noi molto sul serio: “Come è possibile che giovani nati in Europa, dove hanno studiato, hanno lavorato, non abbiano incontrato alcun ideale, senso di vita e siano giunti a sentire come ‘ideale’ il gettar via la propria esistenza con lo scopo di trascinare con sé, in una morte assurda, tante vittime innocenti”? Dobbiamo riflettere a lungo, noi europei e italiani su questo».

Occorre, insomma, porsi, nel profondo, la domanda del perché, ma soprattutto, del “per Chi” rincominciamo ogni mattina a vivere la bellezza, le difficoltà e i dolori dell’esistenza, sapendo che Cristo, «la nostra pace, la Buona Novella», chiede di essere annunciato, non solo a parole, ma con una fede e un’amicizia civica convincente. «Riconoscere il proprio peccato, il radicale bisogno di essere redenti, ci rende figli del Regno»: appunto, il titolo della seconda domenica dell’Avvento ambrosiano.

L’invito, dunque, è a “trafficare” il dono ricevuto, il Signore, il più prezioso talento che ci è stato affidato, con le opere di misericordia spirituale e corporale che, specie nel periodo, sono chieste a ciascuno, come perdonare le offese, recuperare qualche rapporto interrotto nelle nostre comunità e nella vita di tutti i giorni, visitare i carcerati.

«Le opere di misericordia da praticare in questa seconda settimana di Avvento, ci aiutino a vincere la paura, anche se comprensibile. Non lasciamoci rubare i nostri stili di vita, anzi portiamoli al fondo di noi stessi, chiedendoci per chi viviamo. La libertà non è solo camminare per le piazze o entrare nei bar, ma è mettere insieme le tante piccole libertà quotidiane all’interno di un contesto di libertà vera. Solo così sarà veramente possibile sconfiggere la paura».

E, alla fine, il ringraziamento rivolto agli aderenti della Comunità di Sant’Egidio, del Rinnovamento nello Spirito e dalla Legio Mariae, che hanno animato la liturgia, mentre il saluto più affettuoso è per i cresimandi e cresimati della parrocchia Sacra Famiglia di Novate Milanese, in Cattedrale – senza paura – con il loro “don”, i genitori e gli educatori.

Giovanni, la cintura
e l’annuncio del Messia

Sono i dettagli, che fanno la differenza. Con quella cintura, ben stretta in vita, elegantemente annodata, Anovelo da Imbonate - nel Messale ambrosiano di Santa Tecla da lui mirabilmente miniato agli inizi del Quattrocento (e oggi gemma della Biblioteca Capitolare del Duomo di Milano) - dimostra non solo il suo “occhio” artistico, ma anche la sua fedeltà letterale alla pagina evangelica. Là dove si legge, ed è nel brano di Marco di oggi, che «Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi». Sembra un particolare da poco, e invece ha un grande significato. Dice, quella ruvida veste intessuta di peli di cammello, di uno stile di vita austero, essenziale, senza agi né comodità, di chi si nutre soltanto di «cavallette e miele selvatico». Racconta della scelta di abitare nel deserto, in penitenza e preghiera. Un deserto, però, che con l’avvento del Messia già si trasforma in un giardino rigoglioso, il nuovo Eden, come mostra il miniaturista lombardo attorno al Battista. Mentre quella cintura rimanda direttamente ai profeti, come Elia, i cui fianchi erano fasciati proprio da «una cintura di cuoio». Quella cintura che il Signore stesso indica a Geremia come esempio di fedeltà, nella totale “aderenza” fra Dio e il suo popolo. Così che questo “indumento”, in realtà, non ha valore per il suo aspetto “folcloristico”, ma perché configura Giovanni quale nuovo e ultimo profeta, abilitato a preparare «la via del Signore», scelto per proclamare a tutti «un battesimo di conversione per il perdono dei peccati».
Luca Frigerio

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