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Milano

Scola nella Solennità di San Carlo: «Pastore perché padre, educato alla Cattedra della Croce»

Presiedendo in Duomo il Pontificale nella Solennità di san Carlo Borromeo, il cardinale Scola ha richiamato l’esemplarità del santo Vescovo, compatrono della Chiesa ambrosiana, «che insegna anche oggi la fedeltà alla scuola della Croce»

di Annamaria BRACCINI

4 Novembre 2015

San Carlo, pastore perché padre, educato in prima persona alla scuola più eloquente che esista: la Cattedra della Croce. 
Nella memoria liturgica del compatrono della Diocesi, il grande Borromeo, le parole del Vangelo di Giovanni – cantate pochi secondi prima, dal pulpito maggiore della Cattedrale – «identificano in modo inequivocabile il fatto che Gesù ha dato la sua vita per noi e, così, ci ha rivelato l’amore di Dio e quello per i fratelli. Amore che, anche se lo dimentichiamo quasi sempre, ha la sua radice in Cristo che ci precede, offrendoci la capacità di riprendere il cammino». 
A dirlo è l’attuale successore di san Carlo, il cardinale Scola che, in Duomo, presiede il Pontificale, concelebrato dal cardinale Tettamanzi, dal Capitolo Metropolitano, da molti sacerdoti e da sette Vescovi, tra cui il vicario generale, monsignor Mario Delpini e monsignor Giuseppe Merisi – al quale, proprio il 4 novembre di vent’anni fa -, veniva conferita l’Ordinazione episcopale. Accanto all’Arcivescovo siedono i rappresentati di quattro Istituzioni riformate o fondate da san Carlo: i monsignori Gianantonio Borgonovo, arciprete del Duomo, Bruno Marinoni, Moderator Curiae, Michele Di Tolve, rettore del Seminario (non manca il Seminario di Lugano) e Piero Cresseri, prevosto generale degli Oblati. Molti anche i “segni” liturgici ed emblematici che richiamano la figura del Santo. Infatti, dopo due anni, sono nuovamente esposti, tra le navate, i cosiddetti “Quadroni” con la vita e i miracoli di san Carlo; il Cardinale porta l’anello e il Pastorale carolini, utilizzato, quest’ultimo, dagli Arcivescovi nel giorno del loro ingresso in diocesi; il calice è quello donato dalla famiglia Borromeo al cardinale Andrea Carlo Ferrari; la casula fu usata dal Santo e restaurata grazie all’intervento del Collegio S. Carlo di Milano. Infine, in  sacristia, viene esposta la reliquia, parte delle spoglie di san Carlo. 
Uomo di fede granitica e di riforma,, il primo Borromeo «che in tutto il suo Ministero non cessò di attingere alla Cattedra della Croce, come lui stesso scrisse avvicinandosi alla morte. «Non c’è scuola più eloquente della Croce perché essa dice tutto il pensiero e i sentimenti di Cristo», spiega il Cardinale, citando ancora il Santo Vescovo: “Ciò che mi attira sei tu, Signore, tu solo. L’amore per te si è talmente impadronito del mio cuore che quand’anche non ci fosse il paradiso io ti amerei lo stesso”. 
«Duemila anni dopo la Pasqua e cinquecento dopo gli eventi vissuti dal Borromeo, come possiamo frequentare la scuola della Croce, abbeverarci a questa Cattedra? Ci indica lo stesso Vescovo la strada, avere sempre Gesù eucaristico davanti agli occhi e meditare sull’eccesso del Sua carità nella Passione». Un’identificazione essenziale e personale, dunque, quella di san Carlo, «fino a dare la vita come il Signore», che l’Arcivescovo sottolinea come tratto essenziale del predecessore. 
«San Carlo fu un pastore acceso dal fuoco di una carità immensa che nutrì la sua continua, indefessa azione di riforma, la quale, come bene è stato detto, ancora oggi possiamo valorizzare e di cui il Seminario resta, pur nel necessario cambiamento, una potente espressione. Questa esperienza partiva dalla sua persona e poteva poi, così, ampliarsi alla Chiesa e alla società intera. Non esiste possibilità di riforma nella Chiesa se il calco originario, posto dal Fondatore e dalla Comunità apostolica, non viene mantenuto, anche se guardato dal prisma di tante e differenti angolazioni». 
Secondo questa stessa logica, il pensiero del Cardinale va alla riforma del Clero da poco intrapresa dalla Chiesa ambrosiana e italiana «e che attende di essere sviluppata». Cosa è, infatti, tale riforma «se non dare nuova fisionomia al permanere della forma originaria?», sottolinea Scola. 
«Per questo parliamo di avviare processi nuovi, di proporre esercizi di comunione, per l’assicurazione libera, personale e comunitaria di essere un unico presbiterio. Il termine riforma, nasce da un’idea compiuta del cambiamento che sempre caratterizza la Chiesa e che tutti tocchiamo con mano. Mutamento che oggi si impone con particolare urgenza nel frangente storico che stiamo vivendo». 
Tuttavia, occorre fare chiarezza sul termine “riforma”, avverte il Cardinale.
«La categoria di riforma è legata all’approfondirsi dell’autocoscienza e della santità della Chiesa, cioè della sua persona viva e di tutto il suo personale. Possiamo interrogarci, bloccarci, scandalizzarci di certi comportamenti di noi uomini di Chiesa, ma questo deve essere punto di  partenza per la domanda di cambiamento che è in ciascuno di noi perché, noi per primi, siamo di scandalo a noi stessi. È lo Spirito che assicura alla Sposa un’ autocoscienza più acuta, una tensione adeguata alla Santità e dispone i cristiani a proporre tutto questo fino al martirio del sangue o della pazienza, come finora è stato per noi. La categoria di riforma mette, quindi, in evidenza il primato della fede poiché essa stessa, in tutta la sua ampiezza, è la riforma ecclesiale di cui abbiamo bisogno». 
Continua, l’Arcivescovo, citando i trent’anni anni della Fraternità dei Missionari di San Carlo Borromeo – è presente il loro vicario generale don Emmanuele Silanos –  «nata dall’iniziativa di un figlio della nostra Chiesa milanese (don Massimo Camisasca) che si è ispirato al servo di Dio monsignor Luigi Giussani, radicando la sensibilità della Fraternità e il suo solido tronco della tradizione ambrosiana. I membri della Fraternità di San Carlo hanno fatto della passione per la gloria umana di Cristo, la fonte della consegna totale della vita, nella tensione verso le Chiese bisognose». 
Infine, l’auspicio: «camminare insieme per arrivare all’unità della fede fino a raggiungere la pienezza di Cristo di cui parla l’Epistola. Vogliamo vedere e leggere la realtà con gli occhi di Dio per accendere e illuminare, con la fiamma della fede, i cuori degli uomini in un momento di crisi e di prevalente negatività, come ha detto papa Francesco. L’imperitura testimonianza di San Carlo, pastore perché padre, interceda affinché crescano tra noi questi segni inequivocabili dell’amore fraterno».