Nella notte di luce e di speranza colma di attesa, la notte in cui Dio si fa uomo e cambia per sempre la storia, anche in Duomo – come in ogni chiesa piccola o grande di questo nostro mondo ancora troppo segnato da guerre e dolore – nasce il Signore.
Suona la mezzanotte esatta quando nella Cattedrale inondata di luce, il cardinale Scola porta tra le mani la semplice statuetta lignea del Bambino e la depone ai piedi dell’altare maggiore, mentre tanta gente di tutte le età continua ad arrivare tra le navate già gremite.
La Veglia che precede la Messa nella notte di Natale e la Celebrazione sono una sinfonia di preghiera e di devozione che, con la ricchezza della Parola di Dio, la Kalenda natalizia, le melodie antiche e tradizionali, paiono circondare quel piccolo nato da una donna. Nato come tutti noi, pur essendo il “Verbo che si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”, per usare le parole del Prologo di Giovanni, cantate nel Vangelo e che esprimono con forza concretissima il potere che ci è dato, “di diventare figli di Dio”, se accogliamo questo Bambino. «È la ragione per cui siamo qui disposti, per questo avvenimento che celebriamo, a rinnovare il nostro animo e la nostra azione», sottolinea il Cardinale aprendo l’omelia.
È il Dio, come scriveva Charles Peguy, che «non aveva bisogno di noi» e che, pure, venendo «in mezzo a noi», dimostra tutta l’importanza dell’uomo «mettendolo radicalmente al centro». Il Dio «che non si è lasciato identificare con un mito o un’idea», ma che nella sua concretezza, proprio per questo, prende in considerazione non in astratto «ciascuno, personalmente e singolarmente, abbracciando ogni uomo nella sua intera umanità, nella sua inviolabile dignità, nelle sue relazioni costitutive».
Anzitutto in quella familiare di cui è emblema potente «la santa famiglia di Nazareth che, anche oggi, mantiene tutta la sua benefica attualità e attrattiva», scandisce Scola. Per questo il Natale compreso nel suo vero significato – al di là di segni pur importanti come le luci «che brillano nella metropoli anche nella crisi in atto» – mette in gioco la nostra libertà «ponendo ciascuno davanti alla grande e decisiva scelta della vita: «accogliere o rifiutare di essere salvati, cioè assicurati, liberati dalla fragilità, dal peccato e dal terrore della morte».
Seguendo Colui che è venuto a essere la via alla verità e alla vita, anche noi tutti, come figli, camminiamo bene «perché sappiamo dove andare». È il bisogno di salvezza e di senso che attraversa da sempre l’umanità e che trova risposta, appunto, nel Bambino destinato a essere crocifisso.
Dal presepio alla Croce di risurrezione, come ben testimonia la liturgia delle sei domeniche dell’Avvento ambrosiano, è un’unica, vera vita quella che si consuma per noi. «Così che la gloria della sua risurrezione trascini anche noi, se non lo rifiutiamo, nella vita per sempre. Per questo amiamo e promuoviamo la vita dal concepimento fino al suo termine naturale».
Alle parole dell’omelia nella Messa della notte del Natale 1971, pronunciate dal beato Paolo VI e proposte dal Cardinale in italiano, inglese, spagnolo, è, infine, affidato l’augurio: “Questo piccolo Gesù di Bethleem è il punto focale della storia umana: in Lui si concentra ogni cammino umano. Buon Natale”.
E, prima che l’assemblea si sciolga, ancora un pensiero per chi è nel bisogno e per chi, in tante parti del mondo, vive la tragedia della guerra, per i cristiani costretti ad abbandonare le case, per i perseguitati: «Il Dio che si fa uomo metta nel nostro cuore la tenerezza del suo sguardo di fanciullo e ci aiuti a cercare il bell’amore, di cui sono segni evidenti l’accoglienza e la condivisione».




