Ci ha insegnato che non ci può essere divisione tra fede e vita. Lo suggerisce, come chiave di volta della sua riflessione e del suo episcopato a Milano – che proprio in questi giorni “compie” cinque mesi – il cardinale Angelo Scola; lo dice apertamente il suo successore, don Julian Carròn, lo ripetono in tanti: tutti si riferiscono a monsignor Luigi Giussani. «Rinnovando il paterno vincolo di comunione che ci lega al caro monsignor Giussani», come dice all’inizio della sua omelia, l’Arcivescovo delinea così il profilo del fondatore di Cl, del sacerdote ambrosiano dal geniale carisma educativo, ma anche, umanamente, dell’amico e maestro, «con il sorriso che non si dimentica», come aggiungerà alla fine della celebrazione.
Messa nel VII anniversario dalla morte di don Giussani, nel Duomo che pare non riuscire a contenere le migliaia di fedeli che giungono da ogni parte della Diocesi per fare anzitutto memoria, ma anche perché è il trentesimo anniversario del riconoscimento pontificio della Fraternità di Comunione e Liberazione. Dal cui presidente, don Julian Carròn, arriva l’annuncio forse più atteso: la richiesta di apertura della causa di beatificazione e canonizzazione, salutata da un lungo applauso.
E, d’altra parte, è palpabile quanto «don Gius» – così lo chiama più volte anche il Cardinale – sia ancora presente per ciò che ha lasciato come eredità cristiana e spirituale. Educando dagli anni Cinquanta nel solco della Chiesa ambrosiana che «fin dai suoi primordi ha trasformato il metodo dell’azione di Dio nella storia degli uomini in una feconda proposta educativa». All’interno della quale «il cristiano è colui che testimonia ovunque, in famiglia, al lavoro, nel sociale fino ad arrivare al delicatissimo impegno politico, l’opera salvifica di Cristo risorto».
In gioco è tutto, spiega l’Arcivescovo: non cedere mai alla pressione del male fisico e morale e riconoscere che solo Gesù salva. Non a caso, sottolinea «la felice scelta di celebrare la Messa votiva del Santissimo Nome di Gesù», per la memoria di monsignor Giussani. «Infatti, in Gesù, l’inconsistenza – questo il corretto significato della Vanitas del Qoèlet, letto nella prima Lettura,– è vinta». È qui la vera “vittoria” cristiana: «Qui la vittoria realizza la suprema libertà dell’uomo: qui la comunione è veramente liberazione». Comunione e unità a livello personale tra i credenti e come comunità. Unità che non può che essere tale nella pluiriformità: nella vita di ogni giorno, nella Chiesa locale cattolicamente inscindibile da quella universale
«Il carisma cattolico che lo Spirito ha dato a monsignor Giussani, che la Chiesa ha universalmente riconosciuto, e di cui decine di migliaia di persone in tutto il mondo possono oggi godere, è fiorito in questa santa Chiesa ambrosiana. L’amore che monsignor Giussani le portava è documentato da mille e mille segni e testimonianze. Per i fedeli di questa Diocesi appartenenti al Movimento di Comunione e Liberazione questo dato di fatto costituisce una responsabilità che chiede di essere sempre rinnovata: praticare, una profonda comunione con tutta la Chiesa diocesana che vive a immagine della Chiesa universale. Questa comunione è con l’Arcivescovo, con i sacerdoti, con i religiosi e le religiose, con tutte le aggregazioni di fedeli, con tutti i battezzati e con tutti gli abitanti della nostra “terra di mezzo”». Un carisma di comunione – questo – che il Santo Padre non si stanca di indicare in vista della sempre più necessaria Nuova Evangelizzazione del terzo millennio.
Poi, i gesti liturgici, solenni, scanditi dai suoni e dalle parole che attraversano le navate del Duomo fino al ringraziamento finale di don Carròn e – come detto – all’annuncio: «Mi consenta, Eminenza, di rendere noto in questa circostanza festosa che, attraverso il postulatore, Le ho presentato la richiesta di apertura della causa di beatificazione e canonizzazione di monsignor Luigi Giussani».
E, alla fine, c’è ancora tempo per un pensiero rivolto a «don Gius» dal Cardinale con il cuore e la voce commossa, dalla Cattedra dove siede. Momento intenso e sottolineato dagli applausi e da qualche lacrima, nel ricordo: «Venendo questa sera nel nostro Duomo, mi tornano alla memoria i sorrisi di don Giussani, che certamente ora ci sta guardando. Di questi sorrisi che lo caratterizzavano quando – faccia a faccia – gli domandavi aiuto, v’n’era uno particolare. Era discreto, era come un abbraccio, ma attraversato da un impeto che ti impediva di assecondare la tua personale vanitas. Non ti risparmiava il tuo proprio bene e questo è l’unico modo di voler bene. Il mio augurio è di ricordarsi di quella energia per non ripiegarsi su se stessi. Vigore, vigilanza di testimonianza cristiana: questa è la responsabilità che nessuno che abbia incontrato quel sorriso può dimenticare».