Il saluto ai parenti del cardinale Carlo Maria, alle Istituzioni, al sindaco Pisapia, ai membri della Fondazione Martini, nelle parole che aprono l’omelia del cardinale Scola, danno subito il senso di una Celebrazione che, nella seconda domenica di Quaresima, riceve una luce particolare e intensa dalla inaugurazione della via intitolata, appunto, al cardinale Martini.
È un’Eucaristia, in Duomo partecipata, quella concelebrata da cinque Vescovi ausiliari, dal Capitolo Metropolitano della Cattedrale, dai Gesuiti, dal collaboratori più stretti dell’Arcivescovo che, al predecessore dedica parole di affetto e di profonda gratitudine per il bene da lui compiuto.
«Da dove veniva al Cardinale questa passione per il bene?», domanda, infatti, il Cardinale ai fedeli presenti in gran numero. «Certamente dalla solidità della sua esperienza di fede vissuta in famiglia e nell’appartenenza alla Chiesa attraverso la Compagnia di Gesù. Egli si conformò, fin da giovanissimo, ad Ignazio nella consapevolezza che Dio è tutto e tutto può domandare. In questa prospettiva si situa il suo percorso di studioso e di docente della Bibbia che gli ha dato una fama mondiale. Egli, però, viveva tale competenza nel profondo della sua persona».
Così come dimostra l’espressione del Salmo 118 – “Lampada ai miei passi è la tua Parola e luce al mio cammino” – che Martini stesso volle incisa sulla sua tomba. Lo sottolinea Scola e riflette: «Questo “fare il bene” trovò per lui inaspettata e compiuta forma di dedizione integrale nel lungo Ministero episcopale di cui abbiamo potuto godere non solo noi ambrosiani, ma la Chiesa intera. La sua fu una dedizione documentata esemplarmente nell’offerta totale di sé nella malattia e nella morte. Vorrei qui richiamare solo due dei doni che giudico tra i più rilevanti che il Cardinale ci ha lasciato in eredità. Anzitutto l’aver messo nelle mani dei credenti e non credenti le Sacre Scritture, con particolare attenzione ai sacerdoti cui insegnò una forma rigorosa, che ancora viene praticata in Diocesi, ma nello stesso tempo popolare, di Lectio divina. Ha così contribuito a far comprendere a tutti quanto la Bibbia sia punto di riferimento per la cultura europea, e non solo, tanto bisognosa di riforma».
Poi, il richiamo alla dimensione laica e, socialmente “forte”, di un Martini giustamente ritenuto “ al di sopra delle parti”, in quanto voce di autorevolezza assoluta. «Il Cardinale interpretò l’orizzonte autenticamente cattolico della proposta cristiana, secondo l’interezza della realtà. Fu attore consapevole di un’apertura a 360°, teso all’incontro per compiere tutto il tratto possibile di cammino comune, nel rispetto della libertà di ciascuno».
Il pensiero torna alle oggettivamente splendide parole del Discorso tenuto da Martini al Comune di Milano, il 28 giugno 2002, dalle quali «possiamo ricavare una descrizione della città che resta, più che mai attuale ed efficace, esprimendo un metodo di edificazione di vita buona veramente originale, basti pensare a cosa sta avvenendo oggi in termini di mescolamento di popoli e di culture». “La città – disse l’Arcivescovo scomparso il 31 agosto 2012 – è luogo di una identità che si ricostruisce continuamente a partire dal nuovo, dal diverso, e la sua natura incarna il coordinamento delle due tensioni che arricchiscono e rallegrano la vita dell’uomo: la fatica dell’apertura e la dolcezza del riconoscimento”. «Questo è il senso della polis, questa è la coscienza del vero cittadino», scandisce infine Scola, prima di indicare alcune precise responsabilità, anzitutto per i cristiani. «Guardando alla figura del Cardinale non possiamo ritrarci dal dovere di una testimonianza, come fu quella della Samaritana – la seconda Domenica della Quaresima ambrosiana è segnata da questo incontro di Gesù che va oltre gli stereotipi e offre se stesso, acqua che disseta per sempre –, tale da rendere ragione in modo adeguato della “convenienza” umana del cristianesimo come fattore di edificazione della Chiesa e della vita della metropoli».
«In secondo luogo la responsabilità è per tutti i cittadini di qualsiasi mondovisione e per ogni espressione della vita civile. In questa società plurale, siamo chiamati a narrarci e a lasciarci narrare in vista della dolcezza del riconoscimento. Dobbiamo vivere insieme: scegliamo, allora, di vivere insieme, nello spirito di amicizia civica che è il cemento della polis, come le non poche iniziative dell’arcivescovo Carlo Maria ci hanno documentato».
Senza dimenticare la precisa responsabilità che riguarda le autorità istituzionali, a tutti i livelli. «Sosteniamo chi ha il gravoso compito di custodire la democrazia delle libertà realizzate, dei diritti oggettivi che si tengono con i doveri, generando insieme le leggi, in questo “cambiamento d’epoca”, non privo di gravi ferite e di inediti interrogativi».
A conclusione della Celebrazione, la preghiera è ancora tutta, sulla sua sepoltura, per il cardinal Martini, con la benedizione della lapide da parte dell’Arcivescovo, il silenzio composto e commosso del sindaco e dei parenti, con la presenza di tutti i Concelebranti e della gente. Quella a cui si aggiungono in tanti per lo scoprimento della targa che poco dopo, inaugura ufficialmente la nuova intitolazione di via Arcivescovado, d’ora in poi, via cardinale Carlo Maria Martini. Sul palco ci sono il cardinale Scola, il sindaco, il nipote Giovanni Facchini Martini, le autorità, tra cui membri del Consiglio comunale e regionale, il già sindaco Albertini, magistrati, sacerdoti, esponenti di primo piano della società civile, il responsabile della Città metropolitana: idealmente un’intera Milano che rende omaggio a colui che è stato defino un profeta.
«Non sono abituato a dimostrare i miei sentimenti, ma avvicinandosi la fine del mio mandato, mi capita sempre più spesso di avere grande commozione, in cui si misura la speranza tra ciò che si è fatto è ciò che si vorrebbe fare», pare confessare a se stesso, pur tra centinaia di persone, Pisapia, che aggiunge. «Oggi è una giornata di gioia perché abbiamo portato a compimento ciò che i milanesi, ma non solo, i credenti, ma non solo, volevano per un grande uomo che è riuscito a dare un insegnamento di vita, di capacità di comprensione dei valori degli altri in vista del bene comune.
Anche per chi crede di non poter credere si avvera un sogno, una speranza, un ricordo vivo e un segno nel centro di Milano, in un luogo attraversato dai milanesi e di milioni di turisti. Un gesto per il mondo intero».
E seppure cambiare nome a una strada non è facile, anzi – «non avete idea di come sia difficile», spiega, con un sorriso, il Primo cittadino – «questo lo abbiamo voluto insieme».
Proprio perché «Carlo Maria Martini è stata una guida forte e salda che ci ha insegnato a guardare avanti», con quell’espressione che spiega tutto e che ha accompagnato anche Pisapia per la vita: “Chi è ospite nella casa di diritti difficilmente abiterà nella casa dei doveri”.
Si cita sant’Ambrogio e “Casa della Carità” come esempi che attraversano i millenni e aprono le porte del dialogo – qualcuno si asciuga le lacrime –, si ritorna al cardinale Martini: «che seppe ascoltare senza giudicare, dimostrando che il dialogo e il confronto sono e devono essere possibili per una società più giusta in cui nessuno sia lasciato indietro».
«Oggi il nostro Paese, con il mondo, sta vivendo una delle crisi più drammatiche del dopoguerra, eppure insieme, Chiesa, Amministrazione, cittadini, volontari abbiamo accolto e vinto la sfida dell’accoglienza, dando un tetto, un pasto, un sorriso a 87.000 profughi di cui 12.000 bambini Milano è stata capace di esse se stessa. Oggi la voce del cardinale Martini su alzerebbe roca per il disagio e il dolore di vedere chi ancora vorrebbe costruire muri invece che ponti, ma a noi, anche se non c’è più lui, rimangono le sue parole e l’esempio. I suoi insegnamenti sono e saranno i nostri», conclude un commosso Pisapia.
Insomma, un momento bello, corale della metropoli cui da voce, in breve, ancora il cardinal Scola richiamando la «dedicazione di questa via che è un grande segno per la Chiesa ambrosiana, e che avrà un’eco anche nel mondo. Ma questo gesto non sarebbe comprensibile senza sant’Ambrogio e, quindi, è come se noi gettassimo un’ampia arcata di ponte tra il Quarto secolo e il presente. Vorrei che questo fosse il messaggio: esiste, certo, la fatica dell’apertura, ma anche la dolcezza del riconoscimento e non vi non è vera identità che non sia dinamica, se non si mescolano il nuovo e il diverso che la realtà ci mette davanti. Assumiamoci tutti il compito dell’edificazione di vita buona».
L’ultima parola è affidata a Maris Martini, che ricorda l’impegno dl fratello, appunto, per una vita “buona”, capace di far lasciare le armi ai brigatisti, nel 1984, in Arcivescovado e di far incontrare «intorno a un tavolo carnefici e vittime. Una storia che bisognerebbe raccontare meglio, magari con una Convegno».